Il cielo sopra maggio
Oggi, non c’erano rondini
Danzavano sopra le nuvole
Nascondendo la primavera
Fino a maggio, quest’anno, è arrivata la solitudine dell’inverno.
Oggi, non c’erano rondini
Danzavano sopra le nuvole
Nascondendo la primavera
Fino a maggio, quest’anno, è arrivata la solitudine dell’inverno.
I convegni hanno un cerimoniale piuttosto rigido che riserva a ciascuno il suo posto.
I decani della disciplina hanno diritto alle prime file. Gli ordinari alle seconde. Gli altri, non importa: sono lì per salutare ed essere visti.
I decani in pensione per avere oltrepassato anche il limite d’età per il cimitero non hanno un posto preciso perché non hanno più nessun peso. Si presentano un po’ per far vedere che sono ancora vivi e un po’ per sentirsi meno morti.
Alcuni prendono posto nelle prime file. Altri si sorreggono come naufraghi al primo che li saluta.
All’avvio degli interventi e delle relazioni, si abbioccano. Il sonno ad una certa età è allenamento e non solo bisogno.
Il loro russare serpeggia nell’aula come un frinire di cicale nel meriggiare della loro giovinezza.
Nessuno, però, sorride.
Perché è pieno di senso questo modo di prendere commiato dalla propria dignità.
Casalbruciato, 7 maggio 2019.
Nelle prassi del disciolto Partito Nazionale Fascista, un gerarca appena nominato si doveva recare in una casa di piacere e dare mostra della propria virilità mentre i suoi camerati lo aspettavano per gioire insieme a lui della impresa.
E’ un modo di considerare l’universo: un oggetto di conquista per i lombi del suo prepotente gerarca.
Ma è anche un modo di considerare se stessi, come qualcosa che merita essenzialmente per ciò che si è capaci di fare con il proprio strumento riproduttivo.
Riecheggiano e rimbombano queste riflessioni nei fatti di Casalbruciato, non luogo alla periferia di Roma nel quale i militanti di Casa Pound hanno mostrato i lembi dei loro muscoli a una famiglia bosniaca che aveva raggiunto il punteggio necessario per l’assegnazione di un alloggio popolare.
La riflessione più triste, però, riguarda la validità e l’efficacia della Costituzione. L’art. XII, disp. trans. e fin. vieta la ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista. E’ significativamente una disposizione transitoria perché per i Costituenti non aveva senso imporre stabilmente un divieto che trovava il proprio presupposto nella ignoranza di valori che aveva generato il ventennio.
I costituenti immaginavano che sarebbe stato possibile edificare un nuovo Stato e una nuova nazione in cui nessuno avrebbe più agitato i propri lombi come strumento di potere e oggetto di sintesi politica.
Hanno avuto torto e non solo a Casalbruciato.
La cosa più triste è che ne erano probabilmente consapevoli: Gobetti e le sue analisi non si superano neppure in settanta anni.
La non – notizia di oggi è che Salvini prega Padre Pio.
Il protettore degli studenti, dei maturandi, dei camionisti, degli spacciatori e di tutto ciò a cui Jacopo da Varagine non aveva pensato.
Salvini è un uomo intelligente e non privo di una certa disinvoltura opportunistica e la scelta di Padre Pio appare assolutamente indovinata.
Non perché Padre Pio rappresenti benissimo l’Italia della prima repubblica, quella che costruiva le autostrade e che andava a messa.
Ma perché, a Napoli, Padre Pio si mette negli angoli dove le persone altrimenti farebbero pipì e un santo pipifugo è quello di cui Salvini ha bisogno.
Quasi quanto della intelligenza elettorale di papà Verdini.
Venere esce ogni mattina, bacia la figlia, lascia che faccia finta di non piangere e che si avvolga in una sciarpa impregnata del suo profumo
Sonnecchiano qualche istante insieme nell’ombra dei baci e nel riparo del profumo
Venere si lascia avvolgere dai sogni della bimba, la bimba entra nella fresca ombra della sciarpa.
Sale in macchina, apre il cruscotto, indossa la prima maschera di quella giornata
Venere impasta il suo dolore dentro la maschera, solo gli occhi escono, luminosi del riverbero del mare: fuori, dentro: aperti sulle tenebre
Ha scelto l’intimo coordinato alla maschera
Lo esporrà nella notte delle persiane chiuse, la notte delle undici del mattino, solo per sentirsi dire parole senza sacrifici che compensano doni senza oblio.
Venere ripone la maschera, ne prende un’altra. Ballerine e pantaloni, libri e computer, un giornale aperto sulle ginocchia
La maschera dell’aperitivo. Dura poco, sempre meno. E’ una maschera orribile perché ha i colori degli orizzonti che non tornano.
L’ultima maschera, però, arriva con la notte quando Venere è quello che la sua vita ha deciso che deve essere
Nulla più di una immagine da esibire, nulla più di un corpo da profanare con parole oscene dove dovrebbe essere serenità di lessico familiare
La indossa perché deve, perché è il prezzo di quello che la sua vita ha deciso che diventasse, la indossa perché con quella maschera non sente più niente.
Solo gli occhi sono sempre gli stessi
Dentro ogni maschera
Luminosi come il riverbero del mare per chi ha il coraggio di osservarli
Neri come la notte per lei che, talvolta non sempre, ha la forza di usarli anche per vedere e non solo per essere guardata.
Mai lacrime dalla Venere di Milo o dalla Nike di Samotracia
I loro templi profumavano di sacrifici
Gli uomini antichi sapevano stupirsi per l’amore di un dio
Il loro stupore era sacrificio, offerta, gioia di baccanale.
Piange la Venere Italica di Canova
Ombra sopravvissuta alla caduta degli dei
Sa di essere nata morta: gli uomini hanno inventato un nuovo tipo di dio
Il dio che sacrifica se stesso liberando dal peso di adorare
Venere, allora, ha cercato solo di essere bellezza e disegno di marmo
Dimenticando chi non le offriva sacrifici, non le aveva mai offerto sacrifici, ma osserva il mondo con lo sguardo di chi ha avuto diritto alla morte di un dio
Ma la bellezza sa piangere, non dimenticare.
Leandro Bonacchi, cittadino italiano, nato e residente a Casole d’Elsa, millesimo di nascita: 2007.
Si afferma in praticamente tutte le gare regionali di atletica leggera da quando ha tolto i pannolini e iniziato a correre. Si dice, infatti, che il Bonacchi non abbia mai camminato.
Simpatico e riccioluto.
Molto più alto dei coetanei.
Leandro ha il sorriso di chi si accorge durante una corsa campestre che il secondo – naturalmente dietro di lui – è caduto e si ferma per aiutarlo ad alzarsi.
Ha un problema di pigmentazione cutanea, talmente comune nei paraggi in cui sono nati i suoi genitori da non essere un problema ma un carattere genetico.
I genitori degli altri bambini, che sono ariani, non sempre apprezzano e talvolta ci scherzano: 2007? Quello del 2007 ci ha i figlioli urla una madre il cui figlio lambisce con la sommità del capo il mento di Leandro, che comunque sorride, perché è arrivato primo anche questa volta.
Forse Leandro non dovrebbe partecipare alle gare del 2007.
E’ troppo bravo.
Ma, forse, Leandro è l’inizio di un mondo diverso, in cui ci saranno molti bambini come lui, nati a Casole D’Elsa, Pordenone o Taranto.
Un mondo che, per una volta, non dispiace lasciare ai propri figli.
Dispiacerebbe, invece, lasciargli un mondo in cui Leandro non potesse correre alla maratona di Trieste a causa della pigmentazione della sua pelle e degli altri suoi caratteri genetici.
Non per buonismo ma perché Darwin la pensa esattamente così e a Darwin, come alla legge di gravità, non si sfugge.
Norma Rangeri sul Manifesto di questa mattina ha preso una posizione chiara a favore dei rider, i fattorini che portano piatti pronti dai ristoranti alle case dei loro clienti.
I rider hanno fatto notare ai clienti, ricchi e famosi ma anche piuttosto tirchi, che sanno dove abitano.
Il che suona come Voi non ci date la mancia e noi raccontiamo a tutti dove state di casa, così imparate
Per Norma Rangeri, non ci sarebbe niente di male in un fattorino che chiede la mancia e ciascuno dovrebbe sentire il dovere di remunerare spontaneamente il lavoro di chi sa non essere pagato in misura tale da poter vivere una esistenza libera e dignitosa secondo il contratto collettivo di riferimento.
Una posizione più che discutibile e molto vicina alla retribuzione compassionevole del cameriere nei paesi di lingua inglese.
La prima volta che sono stato in un albergo di lusso, il facchino mi prese la borsa malgrado le mie proteste, mi accompagnò alla camera, mi mostrò con cortesia tutto quello che dovevo sapere e, quando tirai fuori di tasca cinquemila lire, disse Questo è il mio lavoro chiudendo la porta sul mio imbarazzo.
La lotta per un contratto più giusto ed equo è ragionevole, legittima e, spesso, degna di ammirazione.
Il ricatto per la mancia è altro. E’ l’assalto dei miserabili al palazzo del re.
Dispiace leggere sul Manifesto la sua difesa ma un tempo in via Tomacelli c’era anche l’ufficio di Craxi e non solo la redazione del più puro fra i quotidiani della nazione.
Tindaro era re di Sparta
Leda, sua moglie
Bella, bellissima,
bionda da far innamorare un dio giocoso e imperscrutabile
Tindaro era violento come un re razziatore e contadino.
Sua moglie non era sua moglie, era il trofeo della sua forza,
un trofeo da esibire e umiliare.
Leda si innamorò dei cigni,
della loro eleganza, della loro capacità di nuotare come statue antiche e di volare con l’eleganza di un’aquila,
ma anche della loro fedeltà, della capacità delle femmine di covare le uova e dei maschi di fare la guardia al nido,
Leda pensava questo seduta davanti a un canneto
Ci pensava mentre sapeva che Tindaro stava tornando da una lontana razzia,
coperto di gloria, sangue e fango,
sporco delle donne che aveva posseduto, preda di guerra e umiliazione,
tronfio delle donne che possedeva, preda di guerra e umiliazione,
prezzo pagato con il sangue di amici, fratelli, compagni.
Ci pensava perché sapeva che quella notte Tindaro avrebbe preteso il prezzo del suo trionfo,
le sarebbe salito addosso, avrebbe sudato sino a liberarsi,
umiliandola di dolore e del desiderio di finire presto,
quel desiderio che fa fingere orgasmi profondi e pronunciare parole orribili,
tutto purché sia finito questo peso sulle spalle,
questo odore di altre che la soffocava.
Leda pensava a tutto questo e guardava i bambini giocare pensando che Tindaro era loro padre
con la preoccupata vergogna di una madre che pensa a chi non potranno non somigliare.
Giove sapeva cosa provano le donne quando guardano i cigni e si trasformò in quel sogno di eleganza e fedeltà,
incuneandosi fra le gambe di Leda, riempiendola del piacere di essere proprietà di un animale fedele,
un animale capace di fare la guardia al nido mentre la sua femmina cova le uova.
Non fu così
Giove_cigno scomparve e Tindaro_re_razziatore arrivò,
pretese quello che era suo.
Leda gli dette quello che era suo,
con tutta la disperazione dei falsi orgasmi e delle parole orribili che lo appagavano.
Fu così che nacque Elena, Elena di Troia,
Fu così che Leda diventò Nemesi, la dea della vendetta.
Giove non le aveva dato una figlia, le aveva dato la vergogna di non sapere di chi fosse la figlia,
se del sogno che si era materializzata o del predatore che era tornato.
La vergogna che è vendetta verso un padre che non sa di guardare con orgoglio il frutto di lombi divini perché desiderati assai più dei suoi,
Ma anche verso la madre cui la vendetta è stata donata come una cicatrice che non saprà mai risarcire,
La ferita della vergogna di essere la moglie di Tindaro,
La ferita della vergogna di essere la madre di Elena di Troia,
La ferita della vergogna di essere stata l’amante di un cigno, che era il padre degli dei.
Altre sono le dee fortunate.
Il Cicisbeo è un personaggio. Uno di quelli che hanno bisogno di farsi ricordare. Che quando entra in un negozio deve farsi riconoscere. Che crede di essere simpatico e che la sua simpatia sia l’arroganza di chi non ha saputo invecchiare e pensa di avere un’età che permette tutto. I cinque anni dei bambini che non hanno l’intelligenza per capire che Ma che bel bambino spesso significa Se potessi, ti spedirei sulla Luna con un calcio.
Il Cicisbeo ha deciso di acquistare delle sedie da giardino. Ha deciso di farle comprare da sua moglie e di accompagnarla. La povera donna sa quello che l’aspetta. Lo ha sposato come si sposa un matrimonio maldestro come un elettrodomestico aggiustato con lo scotch e adesso entra nel negozio portandosi dietro tutte le pene di una bocca che quando si apre è un vulcano che spruzza lava di merda.
Le sedie sono belle ma costano troppo. Il Cicisbeo sa come ottenere uno sconto. Avvicina un sorriso di otturazioni perfette e dentifricio alla commessa:
Alla Metro, le pago la metà
La commessa ha abbastanza anni da avere imparato da uno sguardo alla moglie del Cicisbeo i disturbi del personaggio e, soprattutto, non è la commessa ma la proprietaria e non le frega niente di perdere un cliente risponde, secca:
Su Amazon, di meno, e soprattutto, almeno lì, nessuno la vede
Anche questa, in fondo, è tenerezza e ambizione.
O ambizione e tenerezza?