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Tag Archive for: anziani

Anziani (il rinnovo della patente)

10 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
10/11/2007

P3001Vi è un momento in cui un anziano rischia di diventare davvero vecchio.
E’ il rinnovo della patente, quando rischia la condanna alla immobilità automoblistica.
Una delle condanne più severe che il nostro ordinamento conosca.
Ma se l’anziano è uno di quei terribili vecchietti con il cappellino, che un tempo guidavano delle NSU lucidissime ed oggi delle Lancia Y altrettanto lucide, ma con imbarazzanti ammaccature, il rinnovo della sua patente è un grave dilemma di coscienza per i figli.
Che sanno perfettamente di avere un padre il quale non ci vede un piffero, che ricorda una geografia dei sensi unici preistorica, che ha i riflessi dilatati nel tempo, come il suono in assenza di atmosfera.
Allora si entra in un limbo di scocciature terrificanti, nel quale l’anziano tutto pimpante, il cappellino ben calzato in testa, si sveglia e telefona la sua intenzione di prendere la macchina e fare una girata al mare per vedere se tutto è a posto, se la casa non è crollata, se il vento non ha sbarbato le piante, etc.
E ci si ritrova a moccolare dicendo: "Ma babbo, vengo anch’io, di novembre il mare fa benissimo alle bambine", per non lasciarlo solo e soprattutto per non sentirsi dire al ritorno: "Non riesco proprio a capire perché in autostrada se uno va a sessanta tutti gli suonano…"
Sarebbe bello avere il coraggio di dire che non è il caso di rinnovare la patente, che ci sono problemi più gravi nella vita di un essere umano, che per queste cose non è mai morto nessuno.
In fondo, si nasce uomini o caporali e il coraggio se uno non l’ha è difficile inventarselo.

Il male degli altri

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
02/11/2007

Il male degli altri e’ un dolore a meta’.
Un dolore che non ci appartiene, che non si puo’ sentire: dinanzi al quale l’empatia suona come derisione.
Ma non e’ sempre cosi’.
Invecchiando, il male degli altri diventa un dolce sollievo, una quieta allegria.
Il loro dolore fa sentire bene, tira su il morale, aiuta lo scivolare dei giorni. Niente di meglio che una visita in ospedale, ad un cronicario, al cimitero per aiutare il morale di un anziano.
C’allegria nella sua compassione, sollievo nel suo consolare.
E’ li’ per dimostrare a se stesso di non esserci ancora.
Si, per i vecchi, il male degli altri e’ un alimento
Triste e necessario.

Il mattino degli anziani

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
01/11/2007

Si alzano presto.
Da notti fredde e nervose.
E subito, una scodella di caffellatte, scorrendo i necrologi, per controllare se sono ancora vivi.

Lunedì, fisiatra (il male degli altri)

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
29/10/2007

Come tutti i lunedì, la mia schiena ha avuto bisogno del fisiatra.
Ho già avuto modo di narrare della sua sala di aspetto.
Un luogo spoglio, appena separato con una parete attrezzata, credo si chiamino così, dalla scrivania della segretaria che parla a telefono con le sue amichette.
Di solito, aspetto con il portatile sulle ginocchia, ripasso la posta in entrata, preparo la posta in uscita, gioco a sudoku, a seconda dell’umore.
Questa sala d’aspetto è un luogo di conoscenze: i malati cronici tendono ad essere affabili con i colleghi.
Normalmente non sono affabile.
Non ho mai accettato troppo di essere un malato cronico.
Di conseguenza, disdegno le abitudini dei malati cronici.
C’è un collega, però, al quale mi sono affezionato.
E’ anziano.
Un vecchio medico.
Sempre molto elegante.
Un bastone lo tiene in piedi e la gamba sinistra si muove a passo di tip tap.
Sorridente, malgrado il dolore della schiena distrutta dalla gamba paralizzata.
Al collo, un cartello con il numero di cellulare del figlio, per il caso in cui si senta male e non riesca a tornare a casa.
Ci incontriamo tutti i lunedì mattina da quasi tre anni.
Verso la fine del secondo anno, ha iniziato a darmi del tu.
Oggi siamo rimasti insieme più del solito.
Mi ha parlato come ad un vecchio amico: la cosa più difficile da accettare è non poter guarire, poter solo sperare di non aggravarsi, di rimanere come si è.
Ed ha continuato raccontandomi degli ultimi giorni di lavoro, della rabbia che lo prendeva quando sollevava il telefono e qualcuno gli diceva che stava male, che stava male di sciocchezze, mentre lui soffriva da urlare.
Della rabbia che provava nel non accettare una malattia che gli impediva di accettare la sofferenza dei suoi pazienti.
Poi mi ha chiesto di me.
Ed io, naturalmente, sono stato evasivo: anch’io non sopporto di non essere all’altezza del male degli altri.

I moccoli di San Galgano

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
22/10/2007

Esiste accanto all’Abbazia di San Galgano, l’eremo di Montesiepi.
La leggenda narra di questo giovane guerriero, stanco dell’adrenalina delle sue battaglie, che pianta la spada in un masso, lo trasforma in un altare e lì lascia che il resto della sua vita scorra in preghiera e contemplazione.
Di fatto, gli è una cappella circolare, cui si arriva dopo aver superato una baracca intestata "boccon divino" (che è un nome agghiacciante per un ristorante, come Fido lo è per un cane, o Vittorio Emanuele per un Savoia) in cui fanno merende per gitanti agée.
La spada di San Galgano è conficcata nel plexigas, al centro della cappella, in modo da  valorizzarne le potenzialità artistiche con una  luce che vorrebbe sembrare rubata dalla chimica all’alabastro; il plexigas è chiuso da un lucchetto: i senesi sono persone prudenti, con tutti gli inglesi che passano dal Chiantishire, potrebbe sempre arrivarre il giovane Merlino, prendere  la spada e lasciare il negozietto di souvenir senza clienti per il resto dell’eternità.
Montesiepi, però, è anche un luogo di attenta consapevolezza ecologica: se si prende una candela, per far finta di essere pellegrini e di voler guadagnare una indulgenza, ci si accorge che questo moccolo è già stato acceso da entrambi i lati, Dio solo sa quante volte.
Naturalmente, lo si prende lo stesso, ma con un certo disagio, come se si stesso comprando una indulgenza usata da un assassino.

Livorno

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
16/10/2007

E’ una città molto più bella di quello che può sembrare ad una macchina in fila alla stazione marittima.
Livorno è una città notturna.
La città in cui Luchino Visconti ha ambientato le notti bianche di Fyodor Dostoyevsky.
Ma non sembra questo.
E’ la città in cui se ti fermi dal giornalaio, la vigilia di Natale, e chiedi: "il corriere della sera e il sole 24 ore", quello ti guarda male, finché non aggiungi, finché non ti senti in dovere di aggiungere: "e mi dà anche liberazione ed il manifesto".
Allora, ti sorride, sgangherato, e dice "buon natale, compagno".
Livorno è una città in cui è impossibile invecchiare.
Fino a quarantanni, sei un "bimbo", poi diventi un "giovane", e solo quando sei davvero vecchio ti senti chiamare come "quello lì", "vello lì", direbbe un livornese.
La_Gorgona Soprattutto, però, Livorno ha una luce meravigliosa.
E’ vicina a Marsiglia, la luce di Livorno, una luce letteraria, che sa di pittura.
La luce della tramontana di inverno.
Secca e pulita.
Si, Livorno è una città bianca, molto più vicina a Marsiglia che a Firenze.

Lazzaro

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
16/10/2007

Via dei Servi congiunge il Duomo a piazza SS. Annunziata.
È stata a lungo fiumiciattolo, credo fosse il Mugnone, ed alimentava il fossato che circondava la prima cerchia muraria.
Oggi è una strada che si affaccia sulla Cupola del Duomo, che attraverso di lei riesce a guardare Fiesole, e sulla meravigliosa razionalità dello Spedale degli Innocenti, dove la pietà educava gli orfani al bello prima di restituirli alla strada.
La Rotonda è a pochi passi dall’incrocio di via dei Servi con via Alfani.
Come dire: tre delle opere più significative del rinascimento e del suo architetto sono intorno a questa strada.
Che si apre da nord a sud e guarda la Rotonda ad est.
Via dei Servi si chiama così perché era la strada che percorrevano i Servi di Maria, monaci agostiniani, a lungo maltollerati dalla città, Firenze è sempre stata abbastanza allergica ai santi, quando tornavano a Monte Senario, nel loro eremo, sulla via che porta a Faenza.
Talvolta, al mattino presto, è ancora possibile vedere il saio nero di qualche monaco che si sposta fra la Basilica ed il Duomo.
Vi è in via dei Servi una certa poesia, fatta di case ottocentesche, ragionevolmente dignitose, di qualche esercizio storico, come quello in cui da oltre centocinquant’anni si fanno e si vendono spazzole e dove si può ancora trovare la crema da barba “sciolta”, ovvero da acquistare a peso.
Per motivi stravaganti, che non è facile indagare, forse per caso, via dei Servi è diventata la casa di Lazzaro. Lazzaro è un barbone che trascorre le sue giornate accucciato su una sedia a rotelle, dove il marciapiede si slarga per fare spazio al Provveditorato regionale per le opere pubbliche, con accanto, per terra, un cartoccio di vino o una birra da muratore. Sudicio di quello sporco che una strada ti incolla addosso, quando sei diventato una parte del marciapiede. Soprattutto, però, Lazzaro non è completamente fedele alla sua sedia a rotelle. La usa. Ci si muove. Ma spesso si alza. Per lavarsi, andare a comprare le sigarette, il vino, la birra, qualcosa da mangiare – penso, ma non l’ho mai visto mangiare. La sedia a rotelle di Lazzaro è una sorta di poltrona con le ruote. Un residuo di casa che si porta dietro, come altri si portano dietro coperte e scatoloni, valigie e zaini, carrelli della spesa e dell’aereoporto.
Lazzaro fa gente.
Intorno a lui ci sono sempre altri barboni e lui si alza, offre la seduta della sedia a rotelle, la presta a chi vuole andare a chiedere l’elemosina, quando non ne ha voglia. Credo che il canone sia mite ed in ogni caso ho visto almeno tre diversi barboni chiedere l’elemosina con la sedia a rotelle di Lazzaro.
Lazzaro ha un nemico: lo spazzino che ogni mattina, fra le sette e le otto, lava le strade. È un tipo lombrosiano, la barba malfatta, ispida, sul genere Gambadilegno, gli occhiali spessi, tenuti insieme con lo scotch, una ms in bocca. Lo spazzino ha una piccola autobotte: un ape travestito da autobotte. Dietro, c’è un rullo con una quarantina di metri di tubo di gomma, che finisce in una pompa a pressione. Lo spazzino impugna la pompa a pressione come se fosse un supereroe. Ferma sempre l’ape abbastanza lontano da Lazzaro e si avvicina circospetto. Se Lazzaro dorme, lo spazzino, quando arriva a cinque o sei metri, apre la pompa al massimo getto, lo schizza di acqua e lisoformio (quel lisoformio grezzo che ammorba i gabinetti dei treni) e gli urla “alzati, sudicio, che cammini”. Lazzaro si scuote il vino dalle palpebre, si alza, cerca di salvare le sue cose dall’acqua. In silenzio.
Un silenzio pieno di dignità.

Chi li ha sciolti? (primo)

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
09/10/2007

Chi è che anche stamani ha sciolto:
–   i vigili urbani a cavallo, che non hanno mai capito di non essere a Central Park,
–   le vigilesse con le calze a rete, che sacrificano le loro vene varicose sull’altare di una seduzione grottesca,
–   quelli con il banchetto delle firme contro la droga: "yur sigg againss droccs" che continuano a devastarmi la quiete del basso ventre senza capire che non sono inglese,
–   il barista che si sente in dovere di narrare la composizione del menu serale e la sua contemplazione notturna del dio gaviscon, come se me ne fregasse qualcosa,
–   il banchiere, un banchiere vero con dodici cognomi, che prima ti saluta deferente e poi si gira verso il mendicante che gli chiede l’elemosina con un "basta, hai rotto i coglioni", che non sfigurerebbe in una commedia in vernacolo,
–   il furbetto con il cartello da invalido che posteggia in pieno divieto di sosta ed in palese zona blu per scaricare una sacca da  golf di Luis Vuitton,
–   l’anziano invalido con il cappellino da baseball d’ordinanza che guida semidisteso, gli occhi a fanale appena al di sopra del volante, e cerca di centrarti, costringendoti a fare la figura del toro, davanti ad un corteo di turisti giapponesi che non si esumano da scattare fotografie?

Il trans di piazza Savonarola

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
08/10/2007

Se piazza Savonarola, è una piazza a strati, nel senso che vi si trova di tutto, ma veramente di tutto, nel suo strato più profondo c’è Mery, il trans.
Lo si può trovare a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Non esercita la sua professionalità in piazza.
Si limita a portarci i cani.
Due orrendi Chihuhua, lunghi non più di trenta centimetri.
Legati alla loro padrona con un guinzaglio a molla da dieci metri.
Mery fuma le multifilter.
Lunghissime, una dietro l’altra, tutte consumate fino a bruciare le dita.
Viene da Trani.
Ed è un personaggio dalle frasi storiche.
Sul genere: "non è importante come si nasce. Guarda me: sono un carciofo che è diventato un fiore".
Oppure: " i cani sono cani. Non si possono confondere i cani con i bambini".
O, ancora, "non sopporto gli anziani con i badanti. La solitudine è uno stato dell’anima che si deve affrontare con dignità".
La si vede sempre a parlare con le mamme dei bambini.
Fa gente e le piace farsi ascoltare.
Consiglia generosamente in caso di crisi coniugali, raccontando del suo uomo, che russa, le ruba le coperte.
La costringe a dormire seduta su un angolo del talamo.
Ma è un vero uomo.
Un torello, secondo quanto dicono i vicini che godono la colonna sonora dei loro amplessi a finestre aperte durante il periodo estivo.
Mery porta lunghi capelli ossigenati, un’ombra di baffi, i seni a balcone – a terrazza, si potrebbe dire -, i jeans attillati sul bacino per far vedere il successo della operazione di riattribuzione chirurgica del sesso.
Ed è triste.
Tristissima, nella sua continua ricerca di una credibilità borghese.

Anziani

9 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
18/07/2007

Quello che non sopporto di vedere sono  i miei genitori che invecchiano.
Oramai sono anziani.
Ma non riesco ad accettarlo.
Non mi sembra possibile che mio padre non sia più la persona che ha una visione esatta delle cose e che suggerisce sempre la cosa giusta da fare.
Non mi sembra possibile che mia madre non sia più la persona che mi aspetta, che mi protegge, che sa cosa voglio.
Non riesco ad accettare la loro vecchiaia.
Ed è una vecchiaia strana, come tutte le vecchiaie.
Fatta di malanni.
Di stupide discussioni con i vicini.
Del portiere che non sa più fare il portiere.
Della governante che non sa più fare la governante.
Degli amici di sempre che scompaiono.
Uno dietro l’altro.
Sicché si respira sempre quest’aria da sopravvissuti.
Cerco di rimediare.
Cerco di trattarli come se fossero ancora giovani.
Gli chiedo consiglio.
Gli parlo quietamente.
Mi sforzo di non arrabbiarmi per le loro manie.
Per il loro modo di considerarmi forte e di preferire la debolezza di mio fratello, che ha bisogno di essere protetto.
Così oggi li ho accompagnati ad un esame.
Ecografia alla prostata.
Umiliante.
Mia madre è voluta venire.
Mio padre era straordinariamente nervoso.
Quando si è operato alla prostata è stato intrattabile per molti giorni ed accettava solo la mia presenza.
Passavo le nottate accanto al suo letto, leggendo a voce bassa il Talmud.
Confidando nella forza delle parole.
E lui lentamente si calmava.
Un sudore che pian piano si asciugava.
Una sete che diveniva meno insopportabile.
Così l’ecografia di oggi per lui era una preoccupazione.
Quasi un pellegrinaggio nelle sue paure.
Un pellegrinaggio nel quale mi sento in dovere di essergli accanto.
La sala di aspetto era la solita bolgia.
Persone che cercano di bere per riempire la vescica e spingerla contro la prostata.
E nessuno che riesce a sentire lo stimolo della pipi.
Mio padre sempre più nervoso.
Mille volte guarda i fogli della visita.
Il fascicolo degli esami fatti.
La prenotazione.
Mi spedisce in accettazione.
Mi fa cercare l’amico primario.
Mia madre recita il mantra dei tempi passati.
Alla fine siamo riusciti a tornare.
Nel caldo della macchina senza aria condizionata.
Mia madre continuava a spiegare i negozi che sono scomparsi.
Nel silenzio.
Mio padre non riusciva a parlare.
Finché non sono riuscito a chiedergli come si sentiva.
Ed ha cominciato a piangere.
Non riesco a vederlo piangere.
Sono rimasto con lui.
Ho rinviato tutto.
Lo ho accompagnato a fare una piccola passeggiata.
Ho cercato di farlo uscire dal suo mondo dentro una libreria.
Adesso spero stia leggendo.
Spero.

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