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Tag Archive for: cenere

Non piango (La Merini nel giorno dei morti)

9 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
02/11/2009

index.phpNon piango la Merini.
Nel giorno dei morti, non piango la Merini.
La sua inquieta e limpida voce che sapeva vedere l’erba dal punto di vista delle radici.
Che ha insegnato a vedere l’erba dal punto di vista delle radici.
Non piango la sua anziana morte perché il dolore sconosciuto ha l’ipocrita suono di una campana inglese.
Piango la solitudine dei miei morti.
Il mio ricordo, un biscotto di pane e zucchero in forma di osso candito.
Che vorrei potessero respirare in pace, come profumo di sogni bambini.
Accendendo una candela fredda della solitudine dei ricordi.

Il Sole di settembre

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
28/09/2009

Immagine 1Il Sole di settembre non scalda.
Non si inchioda sotto la pelle.
Si appoggia.
Con lieve dolcezza.
Questo Sole di settembre è una camera di ospedale.
La solitudine di un ospedale che lo nasconde nelle persiane.
Corpi che lo cercano.
Bianchi.
Lavati di luci al neon.
Come bibbie blu.
Gambe.
Braccia.
Dignità stropicciate.
Come pigiami e camicie da notte sporchi di sonno.
Gambe e braccia che ti guardano con occhi di ragno.
Mentre una rara infermiera li chiama per nome, con il Tu.
E tu senti in quel Tuaccio, senza dolcezza, senza quotidianità, in quel Tuaccio che puzza di piscio e galera, la notte del Sole di settembre.

Quattro palmenti

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/08/2009

QuattroPalmentiTipa.
Magra come un campo di sterminio.
Tipo.
Stolido frigorifero in polo di Ralph Lauren.
Ristorante.
Lei non tocca cibo.
Qualche foglia di insalata con molto pepe e aceto.
Per non sentire fame.
E subito si alza per andare in bagno.
Il cameriere continua a inondare il tavolo di pietanze.
Lei lo guarda.
Lui mangia.
Si versa nel piatto il cibo che era nel piatto di lei.
Come se nulla fosse.
Senza rendersi conto di essere il rinforzo del pepe e dell’aceto.

Orologi inversi

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
30/07/2009

Istanbul: i bazar-60_2Il tempo conosce molti orologi.
Il suo tempo conosceva molti orologi.
Conosceva una giacca in bicicletta con il Sole 24 ore e la Gazzetta dello Sport.
La fatica di due ginocchia battute una contro l’altra dall’artrite che piega la schiena.
L’EstaThe degli zingari sotto un portico di chiesa nel primo sole del mattino.
Ogni mattina vedeva tutto questo e tutto questo gli diceva che era puntuale.
Allineato con la sua agenda rossa.
Preciso.
Quel tempo si è fermato.
Con uno strano ingrossamento dello stomaco.
Con il peso che non ha bisogno di diete per diminuire.
Con una operazione.
Grave_molto_grave.
Si è fermato nei suoi capelli che sono diventati secchi.
Fragili.
Che cadono.
Il viso che diventa appuntito.
Le mani che si squamano e sanguinano.
Gli abiti che diventano sempre più larghi e tornano sempre più indietro nel tempo rincorrendo taglie di quando era poco più che ragazzo.
Non si ferma.
Fa finta di nulla.
Solo uno sguardo di vetro dal barbiere.
Poche parole sedute sulla poltrona del barbiere, l’uomo che taglia gli ultimi capelli, una ragazza che cerca di mettere ordine fra le mani.
Un ricordo di infanzia ai Gesuiti. Di qualcuno che aveva detto che si doveva vivere come se si sapesse che si sarebbe morti il giorno dopo. Parole che escono dallo stomaco quando i medici ti dicono che devi mettere ordine nelle tue cose. Parole che in fondo non significano nulla:
–> Vede, Oliviero, vivere come se si dovesse morire il giorno dopo … No, non è così che si deve vivere … Si deve vivere come se non si dovesse morire mai, ma come se si sapesse che chi ci è accanto, le persone che amiamo, ma non solo loro … anche le persone che potremmo amare … che in fondo sono tutti o quasi tutti … come se loro dovessero morire il giorno dopo.
Fa finta di nulla il barbiere.
Non sono sue quelle parole.
E le scansa.
Come resto d’un cane su marciapiede.

Il Re del Mondo

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
01/07/2009

Molto bello.

I pensieri politicamente scorretti di una bambina impertinente (Misure)

10 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
30/06/2009

BimbaImpertinenteBimba Impertinente ha una confusa ossessione per le unità di misura.
–> Babbo, sono alta un chilo e mezzo?
Il tempo la affascina.
Sa che si misura in minuti, ore, giorni, mesi ed anni.
Solo non riesce a toccarli.
C’è nel tempo, un nucleo artificiale che ancora resiste al suo pensiero: di domenica, mercoledì non è il terzo giorno della settimana che viene, è
–> il domani di dopo domani.
Collega il tempo alla sua crescita e la sua crescita alla vecchiaia di chi le sta intorno:
–> Babbo, quando io ho cinquanta anni, tu sei morto, vero?
Ha saputo chiedere con incantata naturalezza.

Occhi blu, capelli neri

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
03/06/2009

DonnaPensosaAveva davvero gli occhi blu ed i capelli neri.
Molti anni fa.
In una festa.
Compleanno di un fratello molto più grande.
Settantasette.
Ma mio fratello non se ne era reso conto: ascoltava Alan Sorrenti.
Lei lo sapeva benissimo e citava la De Beauvoir.
Si era imbucata solo perché abitava accanto a noi.
I miei dieci anni si affacciavano dietro ad una libreria.
La ricordano sul divano.
Stravaccata nel posto di mio padre.
Gitanes mais e whisky.
In continuazione.
Senza mai alzarsi.
Senza cedere alla truppa di Figli delle Stelle che guardava senza vedere.
Dura.
Occhi blu e capelli neri: brillavano di notte e stanchezza.
Poi, è tornata a Parigi.
Suo padre è morto.
Dirigente stanco.
Di cirrosi epatica: infilava i fiaschi vuoti in terrazza.
Cimitero di trofei.
Sua madre è morta.
In un fondo di ospedale.
Lei è tornata a vivere nella casa dei fiaschi vuoti.
Proprio di fronte ai miei.
Un tumore ed una paralisi.
Sola, nel suo letto.
L’assistenza pubblica che la cambia al mattino e alla sera.
I miei che aprono la porta agli infermieri.
Occhi blu e capelli neri che continuano a brillare di notte e stanchezza.
Come quella sera di molti anni fa.
Che socchiudendo gli occhi continuo a vedere ogni volta che attraverso il divano di mio padre.

L’anno prossimo, a Gerusalemme

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
28/05/2009

pasqua_ebraicaHashana haba’a b’Yrushalayim (השנה הבאה בירושלים), ovvero L’anno prossimo a Gerusalemme è la promessa che ci si scambia durante la Pasqua ebraica.
E’ una promessa dolce: quest’anno, siamo in esilio ma l’anno prossimo il nostro Dio ci consentirà di essere nuovamente a casa.
E’ anche una promessa intimamente antisionista: Gerusalemme può essere solo un dono di Dio, non la si può conquistare con le armi o con la costruzione degli insediamenti.
Soprattutto, è una promessa sconfitta.
La si pronuncia sapendo benissimo che l’anno prossimo non saremo a Gerusalemme.
Che il giorno in cui saremo a Gerusalemme non appartiene alla nostra vita.
E forse non si spera nemmeno di essere l’anno prossimo a Gerusalemme: l’esilio ha i suoi vantaggi e la nostalgia è uno di questi.
In ogni caso, fa pensare alla quantità di promesse sconfitte che ci si scambiano.
Dalle regate: L’anno prossimo mi iscrivo al campionato invernale, agli amici di infanzia: A settembre, organizziamo una cena con tutti i compagni di classe delle elementari, per finire con il matrimonio, che raramente non si logora.
C’è solo una promessa in cui non si vorrebbe mai essere sconfitti.
Quella che si fa ad un figlio quando lo si vede per la prima volta.
Lì, essere sconfitti sarebbe davvero irrimediabile.

Tailleur

11 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
23/05/2009

TailleurLei, un tailleur.
Un figlio biondo, perfetto, anche lui di sartoria.
La domestica.
Clandestina.
Le porta il figlio a scuola.
Tutti i giorni.
Pensando alla figlia, che non vede da quattro anni.
Perché è clandestina e ha paura di non poter tornare.
Una figlia che si sente abbandonata.
Che è un coltello aperto.
Piccolo Biondo chiede alla madre:
–> Perché non mi porti a scuola, come le altre mamme gli altri bambini?
Tailleur risponde:
–> Non ho tempo, devo fare la doccia, prepararmi, ho bisogno di calma al mattino.
In faccia agli occhi della clandestina.
Che si fanno duri, serrati.
In un silenzio inutilmente ferito.

Bibi (Un necrologio)

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
06/05/2009

necrologio-renata-petrucci-300x290E’ morto.
Il 2 maggio 2009.
Non poteva guarire.
Lo sapeva benissimo.
Con paura e pudore.
Pochi necrologi sul giornale.
Non era una persona da necrologi.
E’ vissuto di pane e traversini.
Su una banchina.
Marinaio di banchina, anche se aveva girato il mondo dormendo a prua dell’albero, come tutti i marinai.
Schiaffi di mare tatuati sul viso.
Rideva e sapeva ridere.
Di poco.
Di un fiorentino che saliva in testa d’albero e vomitava il suo mal di mare sulla tuga e sull’armatore: Gatto.
Dei tatuaggi di un livornese: Ti se’ fatto scrivere che sembri la locandina der Tirreno.
Non c’è più adesso.
Piace immaginarlo nel paradiso dei bambini.
Di quei bambini che lo amavano perché li sapeva guardare negli occhi. Lui che non ne aveva avuti perché non erano arrivati quasi che le cicogne non si fermassero in mare.
Di quegli adulti che avevano imparato ad amarlo perché li sapeva guardare negli occhi ritrovandoli bambini.
Piace immaginarlo davanti a un Dio che ride delle sue storie e lo guarda allontanarsi.
La camicia da notte aperta dietro e senza mutande.
Così, in ospedale, gli ultimi suoi giorni.
E forse lo faceva per avere qualcosa di cui ridere con Dio qualche ora più tardi.

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