Non fate l’onda
La Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge 1966 di conversione del decreto legge n. 180 del 10 novembre 2008.
Il decreto legge 180 aveva sollevato l’onda studentesca.
Non ci sono modifiche sostanziali nel testo convertito.
Il governo ha anche posto la fiducia chiudendo le porte al dibattito parlamentare e impedendo il voto sugli emendamenti al testo approvato dal Senato.
Senza una motivazione.
Anzi con la motivazione (in questi termini, l’onorevole Vito) che l’ingorgo decretizio rendeva impossibile attendere i tempi di una discussione in aula.
E’ un argomento che si basa su un riferimento circolare: siccome ci sono troppi decreti, che vengono decisi dal governo, il governo non può rispettare le lungaggini del Parlamento nella loro conversione.
Queste lungaggini si chiamano: esame in commissione, relazione all’assemblea, discussione in assemblea, voto.
Vengono sostituite da un solo voto dell’assemblea su un testo bloccato, preceduto dalle dichiarazioni di voto dei capogruppo parlamentari.
Il disegno di legge era stato oggetto di pesanti rilievi sia dell’Ufficio studi della Camera che del Comitato per la legislazione.
Come dire: non solo il contenuto della proposta di legge è discutibile sul piano politico, ma è anche sbagliato sul piano delle regole di drafting che consentono una corretta interpretazione delle disposizioni normative.
Il tutto è finito sui giornali, soffocato da altre notizie più appetitose: Alfano e why not, Il Vaticano e Israele, Gli interventi di Obama per il rilancio delle economie, Le discussioni fra Bossi e Berlusconi su Malpensa, Il futuro della Brambilla: primo ministro della Repubblica in guepiére.
La conversione in legge, che rende definitivo quello che prima era assolutamente precario e provvisorio, però,non ha sollevato nessuna onda.
L’onda aveva bisogno dell’inizio dell’anno accademico per scatenarsi.
Gennaio è un periodo di pausa dalla attività didattica e di esami.
In questi giorni, solo di pausa.
Un periodo che non favorisce le proteste: perdere una lezione non ha mai fatto male a nessuno, saltare un appello scoccia assai di più.
Il futuro dell’università, dal punto di vista delle proteste studentesche, dipende dal calendario accademico.
Non è per nulla serio e dà decisamente ragione al ministro.
Purtroppo.
Ma parecchio purtroppo.