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Tag Archive for: diritto di resistenza

Lacrime nere

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
06/11/2012

Tristi funerali, quelli di Rauti.
Non tanto per la morte di un anziano che è stato giovane fondando ordine nuovo, con un ruolo nei fatti di Catanzaro ed in quello strano periodo della nostra storia che noi chiamiamo strategia della tensione ed i giornali stranieri definiscono Italian game, come se piazzare delle bombe potesse essere un modo di aprire una partita a scacchi.
Quanto piuttosto per le contestazioni a Fini, dure, serrate, guidate da braccia destre alzate al cielo e da un ritornello Badoglio, Badoglio…
Semplici rigurgiti di fascismo?
Il fascismo è scomparso da molti anni.
Da molti anni, l’Italia merita di essere considerata una repubblica controfascista e le stesse libertà devono essere rilette a partire dalla XII disposizione transitoria della Costituzione che vieta la ricostituzione del partito fascista.
Non è questo che si può vedere nel ritornello gridato contro il Presidente della Camera e che lo accusava di incarnare lo spirito di Badoglio.
Quel ritornello ricorda da vicino uno degli ultimi discorsi di Mussolini, il discorso pronunciato da Radio Monaco il 18 settembre 1943.
Colpisce di quel discorso la veemenza con cui la responsabilità per la fine del fascismo, dell’era fascista è attribuita agli ambienti monarchici e, in particolare, al maresciallo Badoglio.
Il fascismo non è finito per colpa (o merito) di Badoglio.
E’ finito perché è stato condannato dallo spirito dei tempi, perché è stato, alla fine, oggetto di un rifiuto da parte di quella società che lo aveva fatto nascere.
La nascita e la morte del fascismo sono responsabilità degli italiani, secondo il pensiero di Gobetti.
Dare di Badoglio al Presidente della Camera dei Deputati significa ignorare questo.
Significa continuare a pensare che il fascismo sia finito per una vigliaccata e non perché la società civile lo ha espulso da se stessa, dopo averlo lungamente coltivato e blandito.
E questo è inaccettabile.
O meglio è il segno di una ignoranza della storia che fa pensare con tristezza a chi ci ha preceduto subendo di sé il male di una giovinezza che non avrebbe voluto invecchiare.

www.primarieitaliabenecomune.it (A proposito di un imperatore eletto dal popolo)

0 Comments/ in Uncategorized / by Gian Luca Conti
05/11/2012

Forse la cosa più divertente delle primarie nel centro sinistra è il dominio scelto per registrarsi.
Impronunciabile ed impossibile da ricordare: come se dicesse che non importa votare, che se non si è davvero organici ai misteri del partito, è molto meglio non votare.
Meno divertente il sudore di Renzi o la serena, democratica impassibilità del toscano di Bersani.
Una dialettica difficile da portare avanti: per un verso, una passione per i nuovi meccanismi controdemocratici, dall’altra parte, il terrore lasciato dalla lenta scomparsa della Costituzione.
Facile rifugiarsi dentro un nome a dominio che pare la roulotte della banda bassotti.
Ancora meno divertente lo slogan messo in piedi per portare i cittadini_compagni_simpatizzanti al voto: Italia bene comune.
Uno slogan che puzza di stantio, di retorica, che strizza l’occhio ai movimenti che hanno sostenuto l’ondata referendaria contro l’acqua degli acquedotti.
Soprattutto uno slogan che ignora come l’Italia non possa essere considerata un bene. Nel testo costituzionale, l’Italia è la Patria, ovvero qualcosa di diverso da un bene. Non qualcosa che può essere oggetto di pretese giuridicamente rilevanti, di “apprensione”, ma l’insieme dei valori che uniscono il popolo.
Considerare la Patria come un bene sa molto di cosa nostra.
Dispiace doverlo osservare.
Ma più di tutto quello che infastidisce di queste primarie è il senso di individuare il leader che dovrà partecipare alla competizione elettorale come candidato primo ministro.
Concentrare il potere in una sola persona designata dall’intero corpo elettorale mediante una decisione a maggioranza significa affidarsi ad un imperatore eletto dal popolo. E’ l’osservazione di Toqueville a proposito del sistema americano.
Anticipare questa scelta mediante le primarie demoltiplica la legittimazione dell’imperatore eletto dal popolo? O, nel nostro sistema, lo trasforma nell’imperatore di una parte del popolo? Pericolosamente ondeggiante fra il troppo vicino ed il troppo lontano?

http://profstanco.altervista.org

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
23/11/2011

Screen Shot 2011-11-23 at 10.44.31 AM

Trasferito.
Non senza una certa tristezza…

Tira aria di ordine pubblico

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
19/10/2011

battaglioneIl ministro Maroni e l'on. Di Pietro annunciano di voler rispolverare la Legge Reale (legge 22 maggio 1975, n. 152).
E' stata una legge che ha sollevato un dibattito forte su ordine pubblico e Costituzione.
Pacificamente molte delle misure di prevenzione previste dalla Legge Reale erano in attrito con il tessuto costituzionale delle libertà.
Questo attrito fu considerato tollerabile da una dottrina dell'emergenza costituzionale, basata sul brocardo necessitas non habet legem.
Chi scrive ha sempre considerato questa impostazione ipocrita: le libertà ci sono o non ci sono ed affermare che la necessità di difendere la Costituzione può portare al sacrificio di alcuni valori costituzionali è esercizio di ipocrisia reazionaria ed anticostituzionale.
Ma resta la voglia di ordine pubblico, che è voglia di uno Stato autoritario, forte, in grado di offrire sicurezza piuttosto che libertà. Uno Stato paterno, nel senso peggiore della parola.
Il PD è attento a non offendere Di Pietro e tace criticamente.
Ma la questione che sfugge, che questa voglia fa trascurare, è diversa. Il movimento degli indignati chiede democrazia senza capi, che è un obiettivo irrealizzabile sin dai tempi di Rousseau. In questo è velleitario. Non è velleitario, invece, quando pone il problema della scelta dei capi, che è una questione centrale nelle moderne democrazie, come insegnano sia Kelsen che Dahrendorf. E non è per nulla velleitario quando rifiuta la logica di partiti appiattiti su leadership carismatiche, ancora più pericolose per la democrazia di una monarchia ereditaria.
E la sensazione è che Di Pietro e Maroni ci vogliano far dimenticare, con la loro voglia di ordine pubblico, proprio questo.
Ovvero l'unica novità positiva della peggiore legislatura repubblicana.

Irrituale (La testimonianza del Capo del Governo)

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
19/09/2011

work permits_Gend de Justice BWL’ultima del Capo del Governo è il netto rifiuto di prestare la propria testimonianza a Napoli, dinanzi ai giudici che indagano sulle attività di Tarantini.
Non avrebbe torto.
Per l’art. 205, secondo comma, c.p.p.: “Se deve essere assunta la testimonianza di uno dei presidenti delle camere o del Presidente del Consiglio dei Ministri o della Corte costituzionale, questi possono chiedere di essere esaminati nella sede in cui esercitano il loro ufficio, al fine di garantire la continuità e la regolarità della funzione cui sono preposti.”
La disposizione trova il proprio fondamento nell’art. 356 del codice di procedura penale del 1930, che stabiliva questo privilegio per i grandi ufficiali di Stato, i cardinali ed i principi reali.
La Corte costituzionale di Sandulli, Mortati e Branca con sentenza n. 76 del 1968 ebbe a riconoscere la ragionevolezza di questa disposizione, perché la stessa non costituisce un privilegio per determinate categorie di persone, ma ha come scopo quello di assicurare la continuità di una funzione: “la norma impugnata, quale che fosse all’origine l’intenzione del legislatore, si ispira attualmente non a un malinteso prestigio di persone che ricoprano certe cariche, ma, come le altre norme contenute nella stessa disposizione, a innegabili necessità e garanzie dell’ufficio di cui quei soggetti siano titolari: chi occupa certe posizioni al vertice dei poteri dello Stato svolge compiti nei quali, per la loro importanza e per la loro delicatezza, egli é spesso insostituibile; di modo che, se dovesse raggiungere luoghi lontani dalla sua sede od allontanarsi dal suo ufficio per testimoniare in giudizi eventualmente anche di scarso rilievo, ne soffrirebbe o ne potrebbe soffrire la continuità o la regolarità della funzione: altrettanto invece non é a dire né del comune testimonio, né del giudice istruttore, che, del resto, se la testimonianza deve essere raccolta fuori della sua sede, può essere sostituito da un magistrato del luogo”.
Quindi:
(i) la Procura di Napoli ha tutto il diritto di ascoltare come testimone il Capo del Governo;
(ii) il Capo del Governo può solo chiedere di essere ascoltato presso i propri uffici, anziché recarsi presso gli uffici del magistrato inquirente.
Se chiede di essere ascoltato presso i propri uffici si pone il problema dell’accompagnamento coattivo.
L’accompagnamento coattivo del Capo del Governo presso gli uffici del Capo del Governo presuppone che gli stessi siano messi a disposizione dal Capo del Governo e che siano richiesti dalla Procura di Napoli.
Il che sul piano materiale non pare per nulla semplice.
Ma il problema è un altro: perché il Primo Ministro non ha chiesto l’applicazione dell’art. 205, secondo comma, c.p.p.? Perché ha invocato una modalità di ascolto non consentita dal codice di procedura?
Forse per consentire alla Corte costituzionale che dovrà decidere sul conflitto fra Governo e Procura intorno alla testimonianza del Presidente del Consiglio di pronunciarsi in rito, con una sentenza del genere: Il Capo del Governo deve rendere la sua testimonianza, ma la deve rendere nei termini di cui all’art. 205, secondo comma, c.p.p., rimandando nella sostanza il tutto ad un momento più quieto.

Sindrome Deltchev (La prescrizione di Cofferati)

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
30/08/2011

urlLa costante richiesta al compagno Cofferati di rinunciare alla prescrizione pone una questione di sistema.
Primo: ho sbagliato persona, non è il compagno Cofferati, ma il compagno Penati che dovrebbe rinunciare alla prescrizione.
Secondo: confondere Penati con Cofferati, che merita le più ampie scuse per l'equivoco, non è solo una questione di assonanza ritmica fra i due cognomi.
E' un equivoco morale.
Bersani, Violante, Casson pongono la superiorità morale del partito democratico come l'aspetto principale della questione.
Forse non è questo l'aspetto principale.
La superiorità morale dei comunisti era un artificio retorico erogato a piene mani da Togliatti per giustificare una politica quanto mai complessa e moralmente discutibile: il costante compromesso con le forze politiche più reazionarie pur di arrivare al potere e di evitare la conventio ad excludendum.
In realtà, predicare una superiorità morale significa essere in grado di svolgere un discorso morale e comparativo, ovvero un discorso il cui autore ritiene di essere superiore agli altri.
E' una posizione moralmente inaccettabile: nessun essere umano ha il diritto di ritenersi superiore ad un altro essere umano.
Soprattutto, però, è un modo per evitare un nodo politico.
Il problema vero è la scelta di un partito popolare di essere il punto di riferimento di esigenze prettamente capitaliste, di essere il catalizzatore di istanze portate avanti dal mercato, di muoversi sul terreno delle banche (D'Alema), dei gruppi assicurativi (Consorte e Fassino), dei grandi interessi immobiliari (Penati).
Questo partito legge il financial times molto più dell'Unità del compagno Gramsci.
Predica la propria superiorità morale per giustificare i propri compromessi, esattamente come faceva Togliatti per votare a favore della costituzionalizzazione dei patti lateranensi.
Per questo Penati fa venire in mente Cofferati.
Ma tutti e due fanno pensare che questo partito non dovrebbe discutere di morale, dovrebbe lasciare la morale ai preti, che hanno un vangelo per giustificarla, e preoccuparsi di essere il punto di riferimento dei lavoratori nella loro lotta contro il capitale.
Penati può rinunciare o meno alla prescrizione.
E' un suo problema.
Il problema del partito democratico è un altro: smettere di essere un luogo di affari e riprendere lo spazio che un tempo occupava il massimalismo socialista nella storia della nostra stanca repubblica.

Una pregiudiziale di costituzionalità legittima

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
27/07/2011

sodomiaIl Parlamento ha affossato il progetto di legge contro l'omofobia.
La Concia è indignata.
Buttiglione plaude cristianamente soddisfatto.
Il punto – di diritto costituzionale – è interessante: gli omosessuali possono essere titolari di una posizione diversa – e più favorevole – degli eterosessuali con riferimento alle offese alla loro libertà sessuale?
Nella sostanza, una affirmative action, ovvero uno strumento per riequilibrare con una diseguaglianza di segno opposto una condizione di sfavore esistente nella società.
Come è accaduto nel nostro paese dopo le leggi razziali nella prima e seconda legislatura repubblicana.
Come è accaduto negli Stati Uniti con le misure a favore delle persone di colore negli anni sessanta.
Gli Stati Uniti si sono resi progressivamente conto che queste misure erano solo apparentemente uno strumento di eguaglianza, in realtà divenivano degli strumenti di diseguaglianza nei confronti di altri gruppi e perfino dei cittadini comuni.
Il nostro provincialismo non se ne è ancora accorto.
Ma è esattamente questa la sostanza della questione.
Se le persone diversamente orientate sul piano sessuale vogliono essere diverse, come sul piano della dignità umana non meritano certo di essere considerate, dalle persone normalmente orientate, la strada della legge contro l'omofobia è perfetta.
Ma è una strada offensiva.
Della loro dignità e della dignità delle persone normalmente orientate: perché lo stupro di un omosessuale è più grave dello stupro di un eterosessuale?
Non lo è e non lo deve essere.
Si può e si deve sostenere il diritto degli omosessuali alle unioni matrimoniali.
Quella è una strada che porta alla eguale dignità.
La strada delle tutele differenziate è una strada davvero incivile e, forse, incostitutuzionale.
Per una volta, abbiamo avuto un Parlamento saggio.
Inconsapevolmente saggio.
Anche se questo non importa.

Coccodrillo con piorrea (A proposito delle vittime del terrorismo)

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
10/05/2011

timthumbNella quotidiana battaglia fra il Presidente del Consiglio ed il Presidente della Repubblica fanno ingresso le vittime del terrorismo.
Attraverso la dedica del giorno alla memoria ai magistrati.
Di 168 vittime del terrorismo, censite dalla associazione omonima, dieci erano magistrati o alti magistrati.
Gli altri appartengono alle più diverse categorie.
Una decina di studenti.
Due avvocati.
Una quindicina di politici.
Un notaro.
Professionisti, sindacalisti, bottegai e guardie giurate.
Soprattutto oltre centoventi fra poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti di custodia.
Ma ha un senso distinguere fra le vittime del terrorismo a seconda delle professioni?
Dinanzi alla morte per terrorismo, non sarebbe più giusto usare il termine: Cittadino?
Più corretto, anche sul piano costituzionale.
Chi muore di terrorismo, non muore perché svolgeva un determinato compito, ma muore di Diritto di resistenza.
Napolitano lo dimentica.
Come un coccodrillo con la piorrea.

Il processo del mare

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
03/05/2011

carl-schmitt-the-enemy-bigger-cropLa lotta contro il nazifascismo, intesi come forme di terrorismo e come crimini contro l'umanità, è terminata con un processo fortemente ambiguo.
Uno dei criminali processati e condannati è stato Carl Schmitt, che sulla sostanza politica di questo processo, sulla sua intima contraddizione rispetto ai principi dello Stato liberale e della democrazia, ha fondato molta della sua riflessione successiva, fino a definire i valori con l'espressione Punto di aggressione e a teorizzare la tirannia degli stessi.
Eppure è stato un processo.
Le democrazie vincitrici hanno voluto celebrare la sostanza della loro vittoria nella forma dell'attuazione del diritto.
Questo processo, non meno della costituzione delle Nazioni Unite, ha segnato simbolicamente la volontà di entrare in una nuova era.
Nell'età in cui i Costituenti hanno potuto sintetizzare l'essenza del nuovo clima internazionale con la formula di cui all'art. 11, Cost.: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
E' questo il punto di aggressione da cui osservare la morte di Osama Bin Laden.
Un cittadino straniero che altri cittadini stranieri hanno sorpreso nel sonno di una cittadina straniera, aggredito, ucciso, portato a bordo della loro base galleggiante e gettato in mare dopo un funerale militare.
Siamo lontani dal processo di Norimberga.
Molto.
Non c'è stato nessun processo ad Osama Bin Laden.
C'è stata la sua morte, festeggiata ed ostentata.
Ma il punto è quale è la sostanza di un ordine internazionale in cui uno Stato può "legittimamente" colpire ed uccidere coloro che ritiene essere i suoi nemici ovunque si trovino?
Uno Stato, al di fuori di una guerra, può esercitare la sua forza senza ricorrere alle forme della giurisdizione?
La morte di Bin Laden segna non solo la fine dell'età avviata dal Processo di Norimberga, ma anche e soprattutto dei sogni che si erano sviluppati a partire dalla Società delle Nazioni e che l'Organizzazione delle Nazioni Unite sembrava aver reso concreti.

Il piccolo costituzionalista (Povero Calamandrei, ma soprattutto accidenti a Fanfani)

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
21/04/2011

CalamandreiIl piccolo costituzionalista che scrive è cresciuto fra due cose: le fotografie incorniciate di Calamandrei che occupavano ogni spazio libero dello studio in cui faceva i suoi primi passi legali e gli appunti di Calamandrei a margine degli atti della Assemblea costituente, che vi erano custoditi ed ai quali si è spesso riferito nei suoi studi di diritto costituzionale.
Accanto all'art. 1: L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro, stava un punto interrogativo.
Eco della posizione di Einaudi, che commentando la formula con cui Fanfani diminuì la capacità eversiva del drafting di Togliatti, ebbe ironicamente a chiedere se significasse che chi non lavorava non poteva votare.
L'on. Ceroni, su cui molti hanno ironizzato, ha proposto di modificarlo aggiungendo che la nostra democrazia è anche fondata sulla centralità del Parlamento.
Un tanto è stato letto, sul piano costituzionale, come una modifica inutile: la nostra democrazia è sicuramente fondata sulla centralità del Parlamento, cui spetta la funzione legislativa e di indirizzo politico ed al quale è collegato il Governo da un rapporto di fiducia tipico della forma di governo parlamentare.
Si è ingiusti con l'on. Ceroni: non sarebbe una modifica inutile. Nella storia delle forme di governo, due organi combattono fra di loro per la supremazia, il Parlamento ed il Governo. La Costituzione ha scelto di privilegiare il primo, la storia degli ultimi anni, dopo le riforme elettorali in senso maggioritario, hanno privilegiato il secondo, sicché oggi abbiamo uno strano governo del Primo ministro, piuttosto complesso da ricostruire sul piano dogmatico.
Ma la proposta di legge costituzionale dell'on. Ceroni non riguarda la battaglia fra Parlamento e Governo per l'allocazione della funzione di indirizzo politico. Non appartiene alla sua cultura politica un governo di assemblea del genere teorizzato a sinistra negli anni dei governi di solidarietà nazionale. Riguarda il ruolo delle magistrature di garanzia: Presidenza della Repubblica e Corte costituzionale e, forse, anche quello del Popolo.
L'on. Ceroni chiede un ridimensionamento di ciò che costituzionalmente dovrebbe arginare le maggioranze a garanzia del diritto delle minoranze di poter prima o poi diventare maggioranza.
In fondo, il senso della sua richiesta, sulla quale avrebbe chiesto il parere di costituzionalisti di cui non fa il nome, per loro fortuna, sarebbe molto più chiaro se suonasse come L'Italia è una repubblica fondata sulla centralità del Parlamento.
Perché di democratico, in un Parlamento eletto sulla base di liste chiuse decise a Palazzo Grazioli o nei cd. caminetti del Partito democratico e nel quale, secondo i desideri del Primo ministro, i gruppi parlamentari dovrebbero votare secondo le indicazioni vincolanti del partito di appartenenza, resterebbe ben poco.

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