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Tag Archive for: politica

Attentato alla Costituzione

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
26/03/2010

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L'Italia dei valori è dalla parte di chi non si può difendere.
Così l'eufemico Di Pietro in una tranquilla serata di fine marzo.
Una serata che potrebbe essere rammentata per il tentativo di informazione indipendente di Santoro.
Modo interessante di mostrare la possibilità concreta di una disobbedienza civile ad una dittatura strisciante.
Di Pietro, no.
Di Pietro è un tentativo di dittatura nemmeno troppo strisciante.
Di Pietro difende la Costituzione con un italiano da panuozzo molisano.
Ma non è l'italiano che conta.
Contano i concetti: una forma di governo triparitita, con il legislativo, il giudiziario e [pausa da studente che cerca nella memoria un concetto ficcato a forza] l'esecutivo.
La risposta è ben al di sotto della sufficienza: la nostra forma di governo è un insieme di pesi e contrappesi fondato su cinque organi costituzionali che si inquadrano maluccio nella tripartizione di Montescquieu.
Soprattutto fa paura quando chiama il Capo dello Stato Papà.
Spiega che i suoi interventi a margine del decreto legge salva liste non erano un vilipendio del Capo dello Stato.
Erano il grido di un figlio che si sente pretermesso e chiede al padre di intervenire.
In questo modo si giustifica tutto ed il problema della nostra democrazia è che si deve cominciare a non giustificare più nulla.

L’ordinanza invisibile

13 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
09/03/2010

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Il Tar del Lazio ha respinto l'istanza di sospensione cautelare che accompagnava il ricorso del PdL contro il provvedimento di esclusione della lista di Roma dalle competizioni regionali per il Lazio.
E' una ordinanza cautelare: come tutte le ordinanze cautelari, i presupposti per il loro accoglimento sono due. L'apparente fondatezza del ricorso e l'esistenza di un danno grave ed irreparabile per il ricorrente derivante dalla esecuzione del provvedimento impugnato.
In altre parole, il tempo necessario per ottenere ragione non deve tornare a danno di chi è costretto a percorrere la via giudiziaria per ottenerla.
Il danno grave ed irreparabile per il ricorrente in questo caso è fuori da qualsiasi dubbio: consumate le elezioni, non si può più tornare indietro.
Questo significa che per il Giudice amministrativo di primo grado il ricorso era privo di qualsiasi speranza di fondatezza.
E' possibile affermarlo solo se si ritiene che il decreto legge salva Formigoni non si applichi alle elezioni regionali del Lazio per effetto della diretta applicazione dell'art. 122, primo comma, Cost.
Affermazione discutibile molto discutibile: il decreto legge pone una disciplina di interpretazione autentica dai tratti fortemente innovativi e perciò è possibile sostenere che lo stesso costituisca un nuovo elemento della disciplina elettorale nazionale che, in quanto tale, si impone alle regioni per effetto del principio di completezza ordinamentale che governa la materia elettorale (Corte cost. 19 gennaio 2007, n. 2).
Soprattutto è una affermazione irragionevole: il decreto legge emanato per salvare Formigoni e Polverini è una norma che costituisce una sicura invasione delle competenze regionali come fissate dall'art. 122, primo comma, Cost., sicché il giudice della sua costituzionalità è la Corte costituzionale e non il Tar del Lazio.
Sotto questo aspetto, il Tar del Lazio non ha difeso la Costituzione.
Ha violato il canone di unicità della giurisdizione costituzionale, che è uno dei valori su cui la Costituzione si fonda.

Una democrazia da polmone di acciaio

7 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
06/03/2010

NapolitanoL'interpretazione autentica è un tema classico da costituzionalisti.
Le leggi di interpretazione autentica segnano una notevole frizione nei rapporti fra potere legislativo e magistratura, perché il potere legislativo sottrae al potere giudiziario l'interpretazione della legge, indicando quale fra le norme che possono essere astrattamente ricavate da una disposizione deve essere scelta.
Il giudice non è più soggetto soltanto alla legge, ma alla legge come interpretata dal Parlamento.
I decreti legge di interpretazione autentica segnano una frizione in più perché la pressione che il potere legislativo intende esercitare sul potere giudiziario è urgente, è caratterizzata dalla straordinaria necessità di intervenire, come accade nel caso di una catastrofe o di un assedio.
In questo caso, il potere legislativo è intervenuto sui Tar del Lazio e della Lombardia indicando come debbono essere interpretate le disposizioni in punto di presentazione delle liste e di autentificazione delle firme che accompagnano una lista.
E' anche intervenuto sulla materia elettorale, violando apertamente l'art. 15, secondo comma, lett. b), legge 400 del 1988, che vieta l'uso del decreto legge per modificare le norme in materia di elezioni: il Governo è espressione della maggioranza e non può cambiare le regole che trasformano i voti in seggi senza confrontarsi con le minoranze.
Il decreto legge di interpretazione autentica, infine, è naturalmente retroattivo, perché si dice come una determinata disposizione deve essere applicata ad un caso che è già accaduto, con un evidente stravolgimento delle regole proprie dello Stato di diritto (così, da ultimo Corte cost. 283 del 2009).
Tutte chiacchiere.
Chiacchiere di costituzionalisti annoiati.
Sul piano della sostanza, il decreto legge firmato da Napolitano equivale ad affidare lo svolgimento delle elezioni a Bertolaso.
Ancora una volta, potrebbe, con qualche acrobazia, intervenire la Corte costituzionale, ma il gioco della democrazia per funzionare può avere bisogno di un intervento fisiologico del Giudice delle leggi?
E' una democrazia nel polmone di acciaio quella che funziona solo grazie al costante intervento del suo medico.
Forse non è questa la democrazia che si meritano gli italiani.
Forse.

Gentiluomini nella polvere

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
05/03/2010

S.C. with Gent-1Non è facile comprendere il thriller delle elezioni in Lazio e Lombardia.
Si fronteggiano due filoni di pensiero: Ci può essere democrazia senza regole? è il primo e Ci può essere democrazia senza che il partito di maggioranza relativa possa partecipare ad una competizione elettorale? è il secondo.
Le regole elettorali sono estremamente complesse e spesse volte ferraginose.
L'idea da cui scaturiscono è che servono ad assicurare l'esatta parità di tutte le forze in campo nelle votazioni.
E' una regola che si fonda su di un assunto: prima delle votazioni, non ha ancora vinto nessuno, sicché tutte le formazioni politiche devono essere poste sullo stesso piano.
Questa regola, ma soprattutto il suo presupposto che è uno dei fondamenti della democrazia, adesso viene posta in discussione e questo è preoccupante.
Altra e diversa questione riguarda il valore delle singole regole poste a pena di esclusione: sono norme che devono essere interpretate in termini tali da impedire che l'esclusione dalla competizione elettorale possa derivare da una semplice omissione burocratica, da un adempimento che non ha nessuno scopo sostanziale, come è nel caso in cui manchi il timbro che certifica l'identità di chi ha autenticato la firma ma questa identità possa essere comunque desunta in termini univoci da altri elementi.
Questo è il compito della magistratura, cui spetta di verificare il corretto operato della amministrazione.
Se ne occupa però un giudice strano: il giudice amministrativo, il Tar del Lazio per la Polverini ed il Tar Lombardia per Formigoni.
Se ne occupa un giudice che in questi giorni sta perdendo molta della sua legittimazione, perché sono uscite sulla stampa le intercettazioni di uno dei massimi magistrati amministrativi, già presidente del Tar Lazio e adesso presidente del Consiglio di Stato, che mostra convivialità con il gentiluomo Balducci al quale anticipa l'esito di un giudizio potenzialmente pregiudizievole per gli interessi della compagine di affari di cui questi sembrerebbe fare parte.
E' difficile non pensare che la polvere di Balducci copra anche il giudizio sulla ammissione del listino della Polverini.
E' difficile non collegare le due notizie osservando una naturale convivialità fra la magistratura amministrativa ed il potere amministrativamente politico, quel potere esercitato da chi ha promesso alla Polverini tutto il suo appoggio.
Parlare di appoggi quando si è dinanzi al giudice fa sempre venire dei sospetti.
Quei sospetti che in questo momento sarebbe molto opportuno che non vi potessero essere.

Di Pietro e la moglie di Cesare

1 Comment/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
03/02/2010

stor_11650478_34090Il Corriere della Sera attacca Di Pietro.
Con serena e attenta circospezione.
Lo attacca per una cena del 1992.
Del 15 dicembre 1992, quando Di Pietro aveva appena firmato l’avviso di garanzia per Craxi decretando la fine della prima repubblica.
Quella sera, Di Pietro la passò accanto a Bruno Contrada, che, il 24 dicembre 1992, fu arrestato e successivamente condannato definitivamente per un certo numero di collusioni con la mafia particolarmente oscure.
A quella cena, era presente anche il rappresentante di una agenzia privata di investigazioni, la Kroll, piuttosto nota in ambito internazionale, specializzata nella gestione delle informazioni riservate in ambito finanziario e nel loro sfruttamento contenzioso.
Il Corriere della Sera sottolinea che ciò che stupisce non è tanto la cena in sé, che si è svolta in una casera dei carabinieri, a valle di un convegno del consiglio superiore della magistratura, quanto l’averla voluta tenere segreta e riservata per quasi venti anni.
L’osservazione è pertinente.
Di Pietro usa il Fatto Quotidiano per replicare.
Gli argomenti sono: (i) io ero un umile manovale dello Stato che cercava di tirare un muro dritto; (ii) chi mi accusa è un grafomane che ha collezionato numero diciotto diffide della autorità giudiziaria e che ha dovuto vendere la casa per pagare le spese di giustizia.
Inutile osservare che gli argomenti di Di Pietro non toccano la sostanza dei fatti, ma mirano a svuotarli attraverso la mitizzazione del protagonista e la demolizione dell’antagonista, che, peraltro, è stato a  lungo sodale di Di Pietro ed ha stilato lo statuto dell’Italia dei Valori.
Sono argomenti che ricordano Giulio Cesare, il quale al processo contro il ganzo della moglie, dopo essersi detto convinto della fedeltà muliebre e quindi della innocenza del fedifrago, si sentì chiedere: Ma se sei convinto che non ti ha tradito perché l’hai ripudiata? ed ebbe il cuore di rispondere L’ho ripudiata perché la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto.
E’ la sostanza del discorso politico dell’Italia dei Valori e del Fatto Quotidiano su Berlusconi, il quale – per le stesse ragioni – dovrebbe essere ripudiato dagli italiani.
Ma se Berlusconi è ben al di sotto di un legittimo sospetto, anche Di Pietro non scherza: si è detto che l’alfiere della sua promozione a magistrato sia stato Corrado Carnevale, si sono ricordati i trascorsi del figlio, si dovrebbe rammentare spesso la candidatura del senatore De Gregorio nella scorsa legislatura, si potrebbe discutere della gestione patrimoniale del suo partito, che pare non essere sempre stata trasparente.
Triste cosa vedere il Fatto superato a sinistra dal Pompiere della Sera.
La verità è che il motto di Plutarco non significa più che Cesare deve ripudiare la moglie non perché è colpevole, ma anche se qualcuno può immaginare che sia colpevole, ma che la moglie di Cesare è innocente anche se è colpevole, perché è la moglie di Cesare.
In questo schema logico, Berlusconi e Di Pietro possono restare tranquillamente al loro posto.
Purtroppo.

Craxi, donne falliche e uomo femminilizzato

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
19/01/2010

Bettino-Craxi-1976-Venezia2Il dibattito sulla riabilitazione di Craxi assomiglia sempre di più ad un seminario dell’Istituto Stensen su Predominio della donna fallica e seduzione nell’uomo femminilizzato.
Frizza esattamente nella stessa maniera e, soprattutto, negli stessi posti.

Un nano nella Costituzione

10 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
04/01/2010

PornazziIl partito dell’amore viene affossato da Brunetta.
Con una intervista a Libero, nella quale propone di modificare anche la Prima parte della Costituzione.
Qualche riga può essere opportuna.
Il ministro della funzione pubblica, o di ciò che ne resta dopo i suoi interventi, non ha proclamato di voler cambiare l’intera Prima parte della Costituzione, ma di volerne salvaguardare i principi fondamentali, modificando quelle disposizioni che, a suo avviso, avrebbero resistito peggio alla prova dei tempi. Si tratterebbe dell’art. 1 (L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro), di 39 e 49, in punto di libertà sindacali e partiti politici, di 10 e 11, a proposito del valore dell’Unione europea, naturalmente sconosciuto ai costituenti.
In generale, può essere ragionevole sostenere la possibilità di modificare la Prima parte della Costituzione: sicuramente, gli artt. 39 e 49 devono fare i conti con un forte grado di dislessia del processo storico di attuazione dei valori costituzionali e il diritto di associarsi liberamente in partiti politici per concorrere con metodo democratico alla formazione dell’indirizzo politico nazionale dovrebbe essere completato, ad esempio, regolando il tema del conflitto di interessi e del grado di democrazia interna richiesto ai partiti politici.
E così via: l’art. 9 parla di ambiente solo come paesaggio e meriterebbe una rilettura maggiormente attenta ai temi dello sviluppo sostenibile.
Non così, forse, l’art. 1. La chiave del ragionamento di Brunetta potrebbe essere più profonda di quanto appaia dall’intervista. Il riferimento dell’art. 1 al lavoro come fondamento della democrazia, sul piano storico, deve essere letto come contrapposizione netta al capitale e come rifiuto della Costituzione di un sistema sociale ed economico fondato su di una economia di mercato puramente liberista.
E’ la promessa di una rivoluzione che compensa le delusioni del partito social comunista nella ricostruzione di Calamandrei.
Toccare questa disposizione costituzionale significherebbe cercare un altro fondamento assiologico per la nostra democrazia e Brunetta propone il mercato accanto al merito.
Come si potrebbe proporre il gioco o lo sviluppo sostenibile.
La verità, però, è che toccare un fondamento assiologico senza una impostazione ideologica forte, come forti erano le impostazioni dei costituenti, non ha nessun senso.
Significa spostare il peso del dialogo sulla distanza fra una democrazia di valori, come è ancora la nostra, ed una democrazia di procedure, come la nostra sta diventando.
La proposta di Brunetta, secondo questa chiave di lettura, dovrebbe essere ancora dilatata per essere completa ed onesta: L’Italia è una repubblica democratica che si fonda sul rispetto delle procedure stabilite nella presente Costituzione.
Ma una Costituzione senza valori fa davvero paura.

Libertà nella rete (A proposito del Popolo delle Libertà e dei suoi indirizzi sull’internet)

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
22/12/2009

giornali_strilloneIl senatore Raffaele Lauro ha presentato – alla stampa, ma non al Senato – un disegno di legge con cui proporrebbe di punire con una aggravante i reati di apologia ed istigazione commessi per il tramite della rete.
I reati di apologia e di istigazioni rappresentano un terreno costituzionalmente molto delicato: il confine della libertà di manifestazione del pensiero "lecita" e necessaria per l’affermazione dei valori costituzionali con quel pensiero che è talmente vicino all’azione da confondersi con essa.
E’ un tema vecchio: in realtà, probabilmente, dal punto di vista logico distinguere fra diverse categorie di pensiero sulla base della loro contiguità all’azione è un esercizio impossibile.
Una democrazia esige che la libertà di manifestazione del pensiero possa avere anche contenuto eversivo dell’ordine costituzionale: un partito politico può essere antisistema. Tuttavia il confine fra la normale attività di propaganda di un partito politico antisistema e l’apologia del reato di insurrezione armata ovvero l’istigazione all’attentato contro la Costituzione può essere molto labile.
Più interessante la questione del mezzo utilizzato: la rete diventa una aggravante.
Perché?
Perché usare la rete per diffondere le proprie opinioni politiche è più pericoloso di qualsiasi altro media?
La vera differenza fra la rete e gli altri mezzi di comunicazione è l’accessibilità e la costruzione di un modello democratico in cui è possibile la libera associazione fra quanti hanno idee e sentimenti simili fra di loro, senza alcuna barriera sociale o economica.
Il sottoscritto accede molto facilmente al suo blog per postare le sue idee, ha molte più difficoltà a scrivere per il Corsera o ad essere invitato da Vespa nel suo salotto pomeridianamente differito.
Questo rischia di dare molto fastidio e genera disegni di legge come quello annunciato, ma non presentato, più un cadeaux che un progetto di legge, dal senatore Lauro.
Ma non è Lauro che preoccupa di più in questo periodo.
Preoccupa il processo Vivi Down.
In questo processo, che sta arrivando a sentenza, quattro top manager di Google sono accusati di non avere impedito la trasmissione tramite You Tube di un video in cui un ragazzo affetto dalla sindrome di Down veniva vessato.
Un terribilmente banale episodio di cyberbullismo.
Per la pubblica accusa, Google, in persona dei suoi top manager, avrebbe dovuto impedire la diffusione di questo video.
L’accusa è eversiva di una serie di norme giurisprudenziali e di legge: il "service provider" che si limiti a concedere l’accesso alla rete, nonché lo spazio nel proprio "server" per la pubblicazione dei servizi informativi realizzati dal fornitore di informazioni, non è responsabile della violazione del diritto d’autore eventualmente compiuta da quest’ultimo (in questi termini, già: Tribunale  Cuneo, 23 giugno 1997, in Giur. piemontese 1997, 493).
Questo indirizzo giurisprudenziale si è consolidato nell’art. 16, primo comma, d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, per il quale:
Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: (a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; (b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.
E’ una norma che, per la libertà di manifestazione del pensiero, ha un valore materialmente costituzionale, perché consente a qualunque persona di accedere alla rete e rendere accessibili le proprie idee senza subire il controllo preventivo di nessuno.
La sottile censura del processo Vivi Down, dal nome della associazione che lo promuove come parte civile, è pericolosa perché introduce nella rete una nuova tensione: le policies dei Service Provider in materia di privacy, per citare Facebook, ovvero di diritto di autore, per ricordare The Pirate Bay, possono decidere che cosa pensano le persone.
La tenaglia dei due movimenti, la giurisprudenza milanese del caso Vivi Down e l’aggravante Lauro, può rendere molto difficile manifestare il proprio pensiero ed è pericolosamente vicina ad un sentimento autoritario della rete che fa rabbrividire.

I pensieri politicamente scorretti di una bambina impertinente (Tartaglia di Tarascona)

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
15/12/2009

BimbaImpertinenteNaturalmente, Bimba Impertinente non sa nulla di Tartaglia di Tarascona e del suo coraggio da leoni.
Non ha commentato le immagini del Primo Ministro sul predellino, sanguinante, attonito, incapace di capire perché tanto odio verso la sua persona.
Nemmeno ha commentato questo attentato a base di souvenir che viene raccolto dai giornali come se fossimo a Sarajevo o come se stessimo di nuovo affondando nella terribile allegria della Banda del Casoretto.
Neppure si è soffermata su Porta a Porta, dove uno stranulato Michele con lisca catanese spiegava al popolo di Italia, agli Itagliani di Piazza Venezia, che lui, si: proprio lui, Michele, Gabriele o come diavolo si chiama, era accanto a Tartaglia di Tarascona e aveva perfettamente capito che il povero Tartaglia non era una persona normale perché non sarebbe normale restare calmi, immobili, freddi quando si è a cinquanta centimetri dal Primo Ministro, come se a cinquanta centimetri dal Primo Ministro si dovesse restare soggiogati dal suo fascino, dalla sua forza taumaturgica, dall’incantamento del voto popolare che la sua persona oramai incarna e, povero Michele, Gabriele, o come diavolo si chiama, si porterà sempre addosso il rimorso di non avere fatto nulla dall’alto dei suoi 190 centimetri per fermare il perfido attentatore.
Come se fosse normale essere a cinquanta centimetri dal Premier e sciogliersi dall’emozione, dal desiderio di adorarlo, e non fosse altrettanto normale (forse più normale) avere voglia di tirargli in faccia, su quella faccia di perfetto somaro,per ricordare il cameraman di Maurizio Costanzo quando si chiamava Pietrangeli, su quella faccia perfetta per stare nel buco tondo di un tiro a segno, un ordigno qualsiasi: una mela, un uovo, una stampella, magari una gamba di legno.
Bimba Impertinente, non ha nemmeno seguito la traCotanza leghista mentre evocava il clima degli anni di piombo all’unico, ma molto chiaro scopo, di legittimare leggi eccezionali, leggi di polizia, leggi in grado di assicurare l’ordine pubblico, ma certo non di salvaguardare le libertà costituzionali.
O letto questa mattina l’intenzione di chiudere e censurare tutti i blog che non condannano il povero Tartaglia di Tarascona, ma ne fanno apologia, esempio ed incitamento all’odio.
Ma allora che cosa c’entra Bimba Impertinente?
Non c’entra nulla, è solo un bene rifugio, perché permette di non pensare a tutto questo.
Permette di pensare, semplicemente, al suo quieto cercare di fuggire il freddo della bicicletta, nelle prime ore del mattino (B.I., molto raramente esprime i suoi desideri in forma diretta, preferisce suggerirli, usando dei percorsi retorici, in termini molto diplomatici, molto accademici), con una uscita così brillante da convincere il padre a tornare a casa e chiamare un taxi:
–> Babbo, ma quando fa freddo, fa freddo come oggi, la bicicletta si mette in moto?
Anche questi, però, sono Ossi di Seppia.

Scommettiamo che tra qualche giorno non se ne parla più (Casta Gifuni)?

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
02/12/2009

Gaetano_GifuniGifuni è un gran commis d’etat.
Un vero gran commis d’etat.
A lungo segretario generale del Senato, ministro per i rapporti con il Parlamento in un governo Fanfani, ha terminato la sua carriera come segretario della Presidenza della Repubblica.
Una carriera apparentemente senza ombre, iniziata per concorso e terminata con l’unanime riconoscimento di massimo esperto delle prassi costituzionali.
La Presidenza della Repubblica vive di prassi costituzionali e attraverso le prassi costruisce il suo ruolo e, nelle prassi costituzionali, ad esempio in materia di formazione del governo o di gestione dei disegni di legge di iniziativa governativa, il segretario generale della Presidenza della Repubblica ha un ruolo delicatissimo e spesso decisivo.
Gifuni nella elaborazione di queste prassi è stato un ingegnere dalle qualità eccezionali.
Forse, un genio.
Un genio che è stato beccato con le mani nella marmellata.
Una marmellata che è eversiva delle prassi costituzionali finora in vigore e che Napolitano ha apertamente infranto.
La questione è facile, facile.
La Presidenza della Repubblica ha autonomia contabile.
Il che significa che i controlli con cui lo Stato deve assicurare, attraverso un terzo imparziale, che i denari provenienti dalla generalità dei contribuenti e destinati al soddisfacimento di interessi pubblici siano effettivametne impiegati a questo scopo, nel caso della Presidenza della Repubblica, come degli altri organi costituzionali, sono interni alla Presidenza della Repubblica stessa.
Questo principio è stato affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 129 del 1981, proprio in un caso in cui la Corte dei Conti aveva avuto l’ardire di pretendere di sottoporre alla propria giurisdizione il controllo sulla dotazione della Presidenza della Repubblica e delle Camere.
Tradotto in pratica il principio della autonomia contabile della Presidenza della Repubblica funzionava con i denari della dotazione nella cassaforte del cassiere e gli alti funzionari della Presidenza che prelevavano liberamente sottoscrivendo delle ricevute che definire ironiche è un complimento.
Uno di questi signori era il nipote del Segretario Generale, il quale si era anche fatto una villetta abusiva nella tenuta di Castelporziano, senza i necessari permessi, ma in virtù di un provvedimento del Segretario Generale.
Brutta storia.
Brusca inversione delle prassi costituzionali da parte del Presidente Napolitano, il quale ha – giustamente – considerato che in questo caso il principio della autonomia costituzionale della Presidenza suonava come I panni sporchi si lavano in famiglia ed ha trasmesso il fascicolo sugli ammanchi e le altre irregolarità alla Procura della Repubblica.
Una scelta che suona come rinuncia alle prerogative stabilite da Corte 129 del 1981 e come volontaria sottoposizione alla supremazia della legge da parte della suprema carica dello Stato.
Una scelta che probabilmente Gifuni non avrebbe condiviso e che forse pensava che nessun Capo dello Stato avrebbe avuto il coraggio di compiere: nessun potere rinuncia mai volontariamente alle proprie guarentigie.
Tuttavia è una scelta che può far pensare in chiave di moral suasion.
Può far pensare talmente tanto che si può scommettere che nessuno fra qualche giorno ne parlerà più.
Esattamente come nessuno, nelle cronache che si dilungano sui nepotismo di Gifuni, ha commentato il valore costituzionale della denuncia di Napolitano.

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