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Tag Archive for: politica

Il delitto perfetto

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/08/2018

Di Maio ha definito come un delitto perfetto l’aggiudicazione della gara per lo stabilimento di Taranto dell’ex Ilva ad Arcelor Mittal.

Sarebbe un delitto perfetto perché non sarebbe stato tenuto nel dovuto conto l’interesse pubblico al risanamento ambientale ma questa omissione non consentirebbe l’annullamento in via di autotutela della gara.

Il delitto perfetto, il delitto della Rue Morgue sognato da Edgar Allan Poe, è il delitto in cui il colpevole non può essere punito, perché  il colpevole non è l’assassino.

Le parti in gioco, il colpevole e l’assassino, sono la politica e l’amministrazione: il livello politico, che è definizione dei valori che consentono di unire le persone in una comunità, e l’amministrazione, che è la trasformazione di questi valori in realtà, per mezzo di imparzialità e buon andamento, rispettando il principio di legalità dell’azione amministrativa.

Per Di Maio, si ha un delitto perfetto perché le regole dell’azione amministrativa impediscono alla politica di tornare sui suoi passi, malgrado vi sia una lesione dell’interesse al risanamento ambientale di Taranto.

Non è un delitto perfetto: è il principio di legalità e sarebbe davvero terribile uno Stato che consentisse al principio di legalità di cambiare di senso ad ogni avvicendamento politico.

Di Maio, però, non parla più di Ilva, sembra essersi arreso, sembra avere trovato nella retorica del delitto perfetto il motivo per giustificare il tradimento di una promessa elettorale piuttosto chiara.

Parla, invece, con lo stesso vigore, della concessione ad Autostrade e urla, insieme al suo ministro Toninelli, a gran voce che questa concessione deve essere revocata e che è il momento di tornare alle nazionalizzazioni.

Anche in questo caso, sembra di poter parlare di un delitto perfetto: perché la revoca della concessione a Autostrade per l’Italia non riguarda il livello della politica – il livello della costruzione dei valori e della comunità – ma il livello amministrativo: dipende dall’analisi della convenzione in essere e dalla comprensione pro veritate della gravità dell’inadempimento commesso dal gestore nel momento in cui il ponte Morandi è crollato.

Ma lo stesso vale anche per il proclama con cui Di Maio affida a Fincantieri l’opera di ricostruzione del ponte, senza considerare che, forse, è la convenzione in essere che regola chi affida i lavori che devono essere svolti e a quali condizioni e che comunque la scelta di un appaltatore non appartiene al livello politico.

Quando si parla di eccesso di potere, si parla anche di confusione fra politica e amministrazione, di un’amministrazione che si lascia condizionare dalla politica e di una politica che vuole scendere al livello dell’amministrazione.

E’ quello che Di Maio lamenta quando parla della gara sulla ex Ilva ed è esattamente quello che Di Maio fa quando parla di Autostrade: il suo ruolo dovrebbe essere di passare le carte all’Avvocatura dello Stato perché definisca le iniziative da intraprendere per tutelare l’interesse nazionale e, in questo, non c’è niente di politico.

C’è un contratto da interpretare.

Distinguere fra colpevoli e assassini è la base dell’eccesso di potere: Di Maio è il colpevole della revoca della concessione a Autostrade, se mai ci sarà, ma non è l’assassino, perché non può essere lui a disporla, deve essere il ministero delle infrastrutture, compiuti i necessari passi e rispettata la legalità procedimentale.

Anticipare a livello politico le scelte amministrative serve solo a precostituire un sintomo di eccesso di potere, ovvero a commettere un delitto perfetto: fingere di revocare, revocare con un provvedimento illegittimo in modo da consentire a Palazzo Spada di annullare la revoca, con buona pace di tutti: della politica che può affermare di avere fatto tutto quello che poteva, persino un provvedimento illegittimo, e delle Autostrade di Atlantia che possono riprendere i loro affari.

Avremmo voluto un mondo diverso, ma avremmo voluto anche un vice premier che non si fa ritrarre dal fotografo di corte dei Benetton (Oliviero Toscani) mentre attacca il loro impero economico, senza accorgersi dell’ironia di quel ritratto.

Salvini e Matterella: incontri al Quirinale

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/07/2018

1 – Oggi Salvini, ministro dell’interno, vice premier e segretario della Lega, incontra Mattarella, il Capo dello Stato.

Salvini ha chiesto di incontrare Mattarella per parlare di una sentenza che conferma un sequestro di 49MlnEuro sui conti del suo partito. La magistratura non farebbe sempre il suo dovere e compito del Capo dello Stato sarebbe assicurare l’indipendenza della magistratura, l’applicazione della legge in maniera esattamente uniforme e imparziale nei confronti di qualsiasi cittadino.

Mattarella ha accettato l’incontro per parlare con Salvini di quanto il ministro dell’interno sta facendo e quindi dell’indirizzo politico del governo, particolarmente in materia di immigrazione clandestina. Read more →

Meglio Palaia: la grande batosta elettorale di Renzi

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/06/2018

1 – Chi incontra Renzi per strada e sul Ponte Vecchio, gli dice Meglio Palaia.

Meglio Palaia si dice quando non si può fare peggio: Palaia fu distrutta dalle truppe di Carlo V in una maniera così crudele che quando qualcuno si lamentava per le angherie subite, gli si faceva osservare che a Palaia non sarebbe stato meglio.

La grande batosta elettorale del Partito democratico è evidente.

Come a Palaia, peggio non si poteva fare: ha perso tre roccaforti molto significative sul piano identitario: Pisa, Massa e Siena.

La città in cui è nato il sessantotto italiano, la città del Monte dei Paschi e la città delle lotte anarchiche e libertarie.

Il partito democratico non riesce più a parlare al suo popolo ma non ci si può dimenticare che solo quattro anni fa, aveva trovato un leader che aveva conquistato più del quaranta per cento dei suffragi e che sapeva parlare non solo al suo popolo, sapeva parlare anche al centro e trovare i voti della maggioranza degli elettori.

Lo faceva con una narrazione forte e convincente: Rottamiamoli tutti.

E’ evidente anche la batosta elettorale del M5S, anche se ha vinto quasi tutti i ballottaggi cui ha partecipato ma non è quasi mai arrivato al ballottaggio e talvolta non è neppure riuscito a selezionare i candidati per partecipare alle elezioni.

Salvini ha vinto, ma potrebbe essere meno immortale delle sue felpe e scomparire presto, come è successo a Renzi. Read more →

Il negozio politico (A proposito di Torino – Lione, Ilva e tassa di soggiorno)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
20/05/2018

1 – Il negozio politico è l’accordo di coalizione. Il negozio politico, come il negozio giuridico, ha bisogno di una causa per poter essere considerato lecito.

La causa del negozio politico dovrebbe essere la giustizia sociale, se manca la giustizia sociale, il negozio politico diventa il luogo di scambio di clientele basate su interessi particolari.

Praticamente, la bottega dei souvenir di Ho Chi Minh. Read more →

Moriremo tutti democristiani?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
18/05/2018

Moriremo tutti democristiani?

La domanda viene leggendo il contratto di governo espansivo che Lega e M5S stanno finendo di mettere a punto, oggi che, secondo alcuni più informati di altri, potrebbero uscire i nomi del Presidente del Consiglio e dei ministri che proporranno al Capo dello Stato.

Contratto di governo non è un’espressione che suona benissimo: l’uso di uno strumento privatistico per regolare l’indirizzo politico appare stravagante, perché è stravagante la posizione costituzionale del Presidente del Consiglio il cui compito è adempiere alle obbligazioni rivenienti da un contratto fra i partiti politici che lo sostengono ed è stravagante l’idea di dirigere, al di fuori della responsabilità ministeriale, che è un istituto parlamentare, la politica di governo.

Quello che fa riflettere è la politica espansiva proposta dal contratto di governo perché certifica la fine dei partiti politici come soggetti che incarnano dei fini non negoziabili, delle ideologie che non possono rinunciare ai loro fini senza perdere la propria identità e quindi la ragione per cui sono votati, ma anche per cui esistono.

Queste ideologie diventano, nel contratto di governo, la rinuncia a realizzare l’alta velocità, una tassa “flat”, il reddito di cittadinanza, i sermoni degli Imam in lingua italiana e la dichiarata volontà di sottrarsi al patto di stabilità e crescita per realizzare politiche espansive basate sul deficit.

Quando ci si interroga sul momento in cui i partiti politici in Italia hanno perso il loro fondamento ideologico, lo si individua (pigramente: le ragioni sono più profonde e risalgono alla stessa fondazione della repubblica) nell’omicidio di Aldo Moro ma il discorso politico dell’ultimo Aldo Moro, il suo dialogo con Berlinguer, era fondato sulla consapevolezza del tramonto delle ideologie e della necessità di tornare ai valori costituzionali in un quadro di solidarietà nazionale perché questi valori consentivano di costruire una unità morale della nazione.

Il contratto di governo è una cosa diversa e assomiglia al congresso di Napoli della DC nel 1954, quando un partito del nord, come la DC di allora, decise di allargare al sud la base del proprio consenso e non lo fece attraverso un’opera di propaganda, lo fece conquistando le clientele esistenti attraverso la spesa pubblica che finanziava cattedrali nel deserto e consentiva di creare occupazione al di fuori dei fondamentali economici.

C’è nel contratto di governo la certificazione della fine delle ideologie, ma anche della fine dell’art, 95, Cost. e, soprattutto, la fine di una idea molto parlamentare per cui il governo si presenta al Parlamento con un programma e lo discute in Parlamento presentando la mozione di fiducia su cui si fonda la responsabilità ministeriale. Questo governo non può essere responsabile se non ha costruito il proprio programma, se il suo programma è l’oggetto di un contratto fra i partiti politici che lo sostengono.

Oggi, forse, avremo un governo e, se questo dovesse accadere, ricominceremo a dire Moriremo tutti democristiani, perché è stata la democrazia cristiana a uccidere le ideologie sostituendole con la spesa pubblica.

Dispiace perché si poteva fare di meglio.

Perfino Salvini e Di Maio potevano fare meglio.

Siamo di uno stesso sangue, fratellino, tu ed io

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2018

Luigi Di Maio, in occasione della conferenza stampa “I say no to save Italy’s future” indetta dal M5s sul referendum del 4 dicembre, Roma, 17 ottobre 2016.
ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Siamo di uno stesso sangue, fratellino, tu ed io è la parola maestra di Chil e racconta dell’amicizia fra un bambino e gli animali della Giungla in quel Pinocchio colonialista cui lo scoutismo ha collegato un metodo educativo.

Significa che un essere umano può essere accolto da un serpente altrimenti terribile come se fossero della stessa razza e che lo stesso può accadere con i lupi e le pantere ma non con le scimmie e i cani rossi.

Si può essere amici di chi è diverso da noi ma riconosce la superiorità della legge.

Non si può essere amici di chi non si sottomette alla legge e perciò deve essere sterminato. Read more →

#consultazioni2018: oggi, mi sento un po’ monarchico

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
06/04/2018

Ho sempre passato il 2 giugno 1946 con una certezza: se ci fossi stato, avrei votato per la repubblica e non per la monarchia.

Oggi, sono meno certo di ieri e lo sono guardando il valzer delle #consultazioni2018, sfogliando i giornali e pensando alla persona incaricata di trovare una soluzione a questo rebus.

Il capo dello Stato enigmistico (Matterella ha l’aria di uno che si fa mettere la Settimana Enigmistica fra il Sole 24 Ore e il  Corriere della Sera dal giornalaio) è incaricato di trovare una possibile soluzione di governo, tenendo conto che:

(i) la soluzione più ragionevole nel caso di due partiti vittoriosi (un partito e una coalizione, in realtà, ma in realtà il partito è un movimento e la realtà non fa parte della Settimana Enigmistica) è una diarchia, il modello Craxi – De Mita che ha segnato la fine della Prima Repubblica;

(ii) la soluzione più ragionevole nel caso di due partiti vittoriosi e di una società in crisi è un governo di solidarietà nazionale, in cui ciascun partito riconosce la necessità di ripartire dalla Costituzione, dal riconoscimento reciproco che è necessario attuare la Costituzione: il modello Moro che ha cercato di comprendere le ragioni profonde di una lunga transizione;

(iii) il contratto alla tedesca come la ricerca di un forno più caldo fra quelli disponibili non sembrano ipotesi serie, ma tatticismi di una strategia che pensa a nuove elezioni;

(iv) è difficile che possa accadere qualcosa prima del 10 aprile, quando il DEF dovrà essere presentato alle Camere e se ci fosse un nuovo governo, questo si dovrebbe assumere la responsabilità di scelte non necessariamente coerenti con il proprio programma di governo;

(v) il 29 aprile, ci sono le elezioni regionali in Molise e in Friuli Venezia Giulia, che daranno dei consigli oggettivi misurando di nuovo la temperatura dell’elettorato a pochi mesi dal terremoto elettorale del 4 marzo.

Tutti questi temi compongono un puzzle che il capo dello Stato deve risolvere, ma il capo dello Stato, il supremo reggitore dello stato di crisi, interviene dall’alto della sua esperienza (e della sua storia) di uomo politico e con la legittimazione che gli deriva da un’elezione politica.

In questi momenti, mi viene da chiedere ma se il capo dello Stato fosse un re, educato a fare il re, lontano dagli affanni della politica perché al di sopra delle parti per diritto ereditario, Di Maio avrebbe la stessa faccia dell’omino in lebole che si reca dal capo ufficio, Salvini porterebbe la giacca sulla spalla come il rappresentante della Martini & Rossi che va in discoteca, Berlusconi si farebbe attorniare da due tailleur come un avvocato che riceve i clienti circondato dalle segretarie, la delegazione del PD arriverebbe a piedi con un’aria fra il mezzogiorno di fuoco e la gita al camposanto?

Forse no.

Il bello delle monarchie è che sembrano una cosa seria anche a chi non ci crede e mettono tutti a posto con la forza della tradizione.

Ma, mi dico, alla fine di questa riflessione, la nostra era una monarchia stanca, che aveva poco a che fare con il Conte Verde e parecchio con un Principe di Maggio, e un Vittorio Emanuele di Savoia assai difficilmente saprebbe fare meglio di Mattarella nelle #consultazioni2018, a meno che Salvini o Di Maio provino a salire sulla sua barca.

Oltre Facebook / Cambridge Analytica…

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/03/2018

Il caso Facebook / Cambridge Analytica parla di cose vecchie e anche un po’ scontate.

L’uso da parte dei signori della rete dei dati relativi agli utenti per promuovere prodotti è noto.

Il fatto che le politiche in materia di privacy di Facebook abbiano consentito fino al 2014 agli sviluppatori di applicazioni di acquisire tramite le loro applicazioni dati relativi agli utenti e utili per la loro profanazione è forse meno noto ma comunque notorio.

Il fatto che un manager di una società che opera in maniera obliqua possa offrire a un cliente che desidera gettare discredito su di un avversario politico uno scandalo a fondo sessuale non è altro che una questione rilevante per il codice penale.

Eppure questa vicenda ha bruciato molto denaro in borsa e i mercati finanziari non operano per caso.

Il fattaccio che è venuto alla luce riguarda l’uso da parte di Cambridge Analytica di un numero imponente di profili di utenti che avevano rivelato le loro opinioni spontaneamente compilando dei test psicologici per influenzare delle manifestazioni elettorali.

Abbiamo così “scoperto” che su Facebook gli utenti tendono a costruire delle filter bubble e che queste filter bubble operano come echo cambers determinando il sorgere di cocoon informativi.

Cass Sunstein ha scritto un libro su questo, tradotto in Italia da Il Mulino con il titolo #Republic.

In altre parole, le persone vogliono leggere le notizie che gli interessano, chiudendosi in delle stanze in cui ricevono solo ciò che vogliono leggere (filter bubble), che in queste stanze le opinioni più estreme tendono ad affermarsi: i suprematisti ariani quando parlano fra suprematisti ariani sono più estremisti di quando manifestano le loro opinioni in pubblico (echo chambers) e che questi bozzoli di informazione (cocoon), in cui gli utenti della rete tendono a segregarsi scegliendo le loro amicizie, sono pericolosi per il pluralismo.

Insomma, abbiamo scoperto che quando la Corte costituzionale affermava che la libertà di informazione è la «pietra angolare dell’ordine democratico» (Corte cost. 84/1969) diceva una cosa che sulla rete è molto meno vera che nella realtà fisica.

Nella rete, la libertà di informazione può essere pericolosa per la democrazia proprio perché è affidata a tutti (è decentrata e disintermediata, ma non per questo è resa più democratica) e non tutti sono in grado di esprimere pensieri interessanti per lo sviluppo di un discorso democratico.

L’applicazione delle regole sulla responsabilità dei provider

Il punto è che l’applicazione delle regole in materia di responsabilità degli internet service providers, in virtù delle quali il provider non è responsabile del contenuto che ospita, ai social media, che non sono internet service provider, perché organizzano i contenuti che ospitano e li orientano secondo le loro politiche aziendali, determina dei seri rischi per il discorso democratico.

E’ quello che hanno notato con intelligenza e acume da molto tempo studiosi come Sunstein o come Balkin, ma anche come Gillespie e l’elenco potrebbe essere lungo.

In questa situazione, i mercati hanno capito che i social media non potranno continuare ad operare come signori della rete, liberi di decidere le loro politiche, ma si dovranno in qualche misura sottomettere alla sovranità degli Stati e la sovranità degli Stati ridurrà i loro profitti.

O forse hanno capito che i social media non potranno fare a meno di anticipare le normative statali adottando delle politiche aziendali trasparenti e in grado di evitare disfunzioni come la censura collaterale, di cui si parla da molto tempo.

O magari hanno intuito che il potere dei signori della rete sta diventando l’oggetto di una forte critica sociale e che questa critica sociale spesso viene direttamente da coloro che operano all’interno delle organizzazioni aziendali messe a punto dai signori della rete.

Ma cosa sono i social media per l’art. 21, Cost.?

In realtà, i social media non sono mezzi di informazione nel senso tradizionale di questa espressione, ma sono semplicemente dei contenitori per la libertà di manifestazione del pensiero, funzionano in maniera molto più simile a spazi privati aperti al pubblico che vi si riunisce consapevole del fatto che in questi spazi si deve rispettare la disciplina imposta dal loro proprietario, esattamente come chi va in un bar deve rispettare le regole di polizia imposte dal suo proprietario, che gli può dire di bere meno o di parlare a voce meno alta e perfino allontanarlo se non è in grado di rispettare le regole della casa.

L’aspetto più interessante di questa vicenda è che non è emersa grazie alla rete, la rete non ha rivelato nulla di Cambridge Analytica e della sua influenza per le competizioni elettorali. E’ stato il giornalismo investigativo del New York Times e del Guardian che ha consentito all’opinione pubblica di venire a sapere quello che stava accadendo.

Come nel caso di Weinstein, che avrebbe facilmente ottenuto l’oblio delle notizie che lo riguardavano se queste fossero state postate su Facebook o su un blog, grazie alla regole del notice-and-takedown, che è tipica della responsabilità del provider.

Una rivoluzione imminente?

L’aspetto più interessante è che i giornali sono ancora vivi e per ora fanno ancora il loro lavoro.

La cosa, invece, più preoccupante è che la presenza dei giornali è minacciata seriamente dalla rete e la rete, al contrario della carta stampata, non è affatto trasparente.

Se questa preoccupazione diventasse condivisa, il mondo della rete diventerebbe il campo di una rivoluzione, forse meno cruenta di quella del 1789, ma non meno significativa per le sorti dell’umanità.

Su questo si deve riflettere. Non sulla profanazione della privacy degli utenti che sono stati chiusi nelle echo chambers in cui loro stessi desideravano essere rinchiusi.

Oggi, e da tempo, questo non è più possibile, mentre è possibile analizzare i big data costruendo i profili degli utenti senza violare la loro privacy e, forse, anche condizionando le competizioni elettorali con la scelta dei candidati da votare usando lo stesso algoritmo con cui Netflix ci consiglia una nuova serie, azzeccando quasi sempre i nostri gusti, ma senza farci vedere nulla di nuovo.

La fiducia di Gentiloni e la legge scout

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/10/2017

La legge elettorale merita fiducia?

Gentiloni non è uno scout e la legge elettorale non merita fiducia.

Il primo articolo della legge scout suona più o meno come lo scout pone il suo onore nel meritare fiducia, nelle parole del fondatore – sir Baden Powell -, A scout is trustworthy.

La legge elettorale non meritava la questione di fiducia del governo che è legittima sul piano costituzionale e sul piano della tattica parlamentare ma che non appare opportuna sul piano politico e dell’onore del governo.

Sul piano costituzionale non è scritto in alcun luogo che le norme in materia elettorale non possano essere oggetto di una questione di fiducia e sul piano della tattica parlamentare è più che ragionevole che le ragioni del calendario e quelle della politica portino il governo a porre la questione di fiducia sulle norme in materia elettorale.

Non vi è nessuna rottura della legalità costituzionale e invocare i precedenti di Mussolini o di De Gasperi, ma anche di Berlusconi e Renzi ha poco senso.

Lo ricorda Giovanni Guzzetta sul Dubbio che sottolinea la struttura politica della legge elettorale e perciò definisce come fisiologica la questione di fiducia.

Lo penso anche io e, perciò, mi pongo qualche problema.

Piccoli problemi

Porre la questione di fiducia significa stabilire come conseguenza necessaria ed inevitabile del voto contrario del Parlamento le dimissioni del governo perché il governo chiede di meritare fiducia in quel voto.

Il governo merita fiducia, nel senso della legge scout, quando una proposta rispecchia i valori politici che intende proporre alla nazione come basi della convivenza.

La questione di fiducia, in altre parole, ha un valore tattico collegato alla vita parlamentare del governo e un valore strategico in cui il governo indica al paese i valori in base ai quali si considera meritevole di svolgere la propria funzione di guida dello Stato.

Sul primo piano, non c’è davvero niente da dire.

Sul secondo piano, forse, qualcosa da dire c’è: il governo ha posto la questione di fiducia su di una legge elettorale che ha come effetto principale quello di rendere inevitabili accordi di coalizione e maggioranze deboli.

Una legge che fa tornare indietro nel tempo e che sembra appartenere al patrimonio genetico del presidente del consiglio.

Però le leggi non sono macchine del tempo e non acquistano questa efficacia nemmeno grazie a una questione di fiducia.

Una sconfitta palese e una vittoria implicita

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
23/10/2017

Una sconfitta palese

Il senso di una sconfitta palese è che diventano eroi anche i soldati che portavano le pignatte.

La sconfitta palese è quella subita nel referendum lombardo veneto.

Sia in Veneto che in Lombardia è emersa con forza la volontà delle popolazioni locali di gestire le risorse che genera il territorio direttamente.

Questa è una sconfitta palese dello Stato centrale.

La volontà popolare rinforza i governi regionali lombardo e veneto, che sono già forti di una legittimazione popolare diretta, grazie all’elezione dei loro presidenti, e di una stabilità sostanzialmente di legislatura, grazie alla regola simul stabunt simul cadent.

La forza dei governi locali trova una controparte assai debole: la riforma elettorale attualmente in gestazione non è fatta per creare un indirizzo politico legittimato direttamente dal corpo elettorale, ma per restaurare una forma di governo parlamentare in cui la doppia fiducia e le geometrie variabilmente asimmetriche delle due camere rendono il Capo dello Stato arbitro di equilibri politici instabili e che possono portare a elezioni anticipate con una frequenza d’altri tempi.

E una vittoria implicita

In questo referendum hanno vinto anche i marmittoni.

I marmittoni, in questo caso, sono i quesiti referendari che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali con la sentenza 118/2015 perché violavano gli artt. 75, 116 e 119, Cost. nonché con le norme dello Statuto del Veneto che regolano i referendum consultivi.

Questi quesiti suonavano (art. 1, legge reg. Veneto 15/2014):

1) “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”;
[2) “Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”;
3) “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”;
4) “Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”;
5) “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”]

L’approvazione dell’unico quesito salvato dalla Corte, sul piano politico, ha il significato dei quattro quesiti che la Corte ha considerato inammissibili perché la maggiore autonomia che Veneto e Lombardia chiedono riguarda essenzialmente il cd. residuo fiscale e quindi una autonomia pressoché costituzionale di queste due regioni.

Il governo della Repubblica difficilmente potrà negare ingresso a questa istanza e dovrà inventare un nuovo tipo di regionalismo.

Ma tutto questo può cadere sulle spalle di un governo fragile come quello che la nuova legge elettorale consegnerà alla prossima legislatura repubblicana?

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