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L’incontinente e la rana (A proposito delle dimissioni di Palumbo)

0 Comments/ in jusbox, profstanco / by Gian Luca Conti
01/03/2021

Qualche giorno fa in una trasmissione tipicamente fiorentina di una radio tipicamente fiorentina, un professore dell’Università di Siena ha espresso delle opinioni particolarmente aggressive verso una parlamentare di Fratelli di Italia.

L’indignazione si è sparsa ovunque. Perfino le costituzionaliste hanno pubblicato un comunicato stampa per esprimere solidarietà all’On.le Meloni.

Oggi, l’emittente ha annunciato che il giornalista, Raffaele Palumbo, che aveva condotto la trasmissione ha rassegnato le proprie dimissioni.

Non è una buona notizia.

Il prof. Gozzini ha sicuramente sbagliato: si è espresso sulla persona formulando un giudizio umanamente pesante e non sulle idee della persona che meritano una severa critica.

Nessuno, però, ha avuto modo di osservare che se una persona studia per tutta la vita, finisce per amare chi ha studiato e se uno ama Bertold Brecht, il che può essere feticismo, ma in fondo lo è anche amare Dante, non lo può sentire citato a sproposito.

Non può non esprimere una severa indignazione nel confondere l’avvento al potere di Hitler e della sua corte dei miracoli con l’incarico e la fiducia parlamentare a Draghi.

Non è un’attenuante, perché resta il principio: una cosa è non essere d’accordo con delle idee politiche, un’altra cosa è l’offesa individuale, che lede la dignità personale.

Ma aiuta a comprendere e dispiace che nessuno abbia ricordato le infinite polemiche di Sgarbi, finite troppe volte dinanzi alla Corte costituzionale con la pretesa di sentir coprire dall’usbergo dell’art. 68, Cost. le più insolite offese ai più disparati personaggi.

Ciò che però disturba di più però sono le dimissioni di Palumbo.

Palumbo è stato vittima di una vera e propria campagna di odio perché ha consentito al suo ospite di esprimere le proprie opinioni e questo è molto più intollerabile della incontinenza di Gozzini.

La Meloni incarna un movimento politico che aggrega la disperazione radicalizzata.

Questo spaventa e questo deve essere denunciato, molto più di un non più giovane professore universitario di sinistra che preso dallo sdegno per una citazione obiettivamente ruffiana e soggettivamente infelice si è espresso in termini incontinenti.

Credo che la solidarietà per Palumbo sia un dovere, non solo di tutti gli ascoltatori di Controradio, ma di tutti coloro che hanno a cuore la libertà di manifestazione del pensiero.

La morte di Caravaggio

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/11/2020

Caravaggio è morto nella febbre di una spiaggia, vicino a Porto Ercole.

E’ morto guardando il Sole, cercando di annullare il suo sguardo nella luce, di trasformarlo in calore, nel freddo sudato della febbre.

Solo di tutte le notti che aveva dipinto, cercando una luce che non mostrasse le unghie sporche di Bacco, un ragazzo di taverna che gli aveva trafitto il cuore mentre lui gli trafiggeva il culo.

La bellezza di Caravaggio aveva le unghie sporche anche quel giorno come ogni altro giorno che aveva vissuto e la febbre non era una malattia, era il suo modo di vedere, si faceva trafiggere dalla luce fino a trovare l’ombra della bellezza.

Bacco era su quella spiaggia a Porto Ercole e osservava la febbre di Caravaggio.

Da lontano, indeciso se salvare quello sguardo, accarezzarlo ancora una volta, accettarlo dentro di sé o se scappare lontano perché ci sono sguardi che attaccano la febbre, ci sono dei mal di vivere talmente belli che non si riesce a non star loro vicino fino a che non si comprende che il prezzo di quella vicinanza è lo stesso mal di vivere.

Caravaggio lo osservava, con i soliti occhi che trovano la notte della bellezza, sperava in un abbraccio che lo salvasse dal freddo della rena gelida di rugiada, che lo portasse vicino al Sole. Ma era troppo bella quella solitudine. Era troppo bello il quadro che la sua morte stava dipingendo.

I ritorni straziano il cuore e l’unica cosa che Caravaggio, Rimbaud e Casanova possono fare quando tornano è morire prima che le loro vite smettano di bruciare, consumarsi prima di essere fiamme che si spengono di consunzione invece di lasciarsi soffocare dal vento.

La quarantena di Bukovsky

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/04/2020

Negli ultimi quaranta giorni:

– ho mangiato regolarmente, bevendo molta acqua e curando l’equilibrio fra le diverse sostanze nutritive. Di solito, salto il pranzo e mi abbuffo a cena all’ora che capita, senza fare troppo caso a quello che c’è in tavola;

– non sono mai stato al ristorante. Normalmente, mangio più spesso in trattoria che a casa;

– non ho bevuto neppure un Martini cocktail. Non capita spesso che lo salti fra le sette e le otto del pomeriggio;

– ho dormito almeno otto ore, andando a letto prima di mezzanotte e alzandomi fra le sette e le otto. Nella vita normale, non vado a letto prima delle una e non mi alzo dopo le sei;

– ho ridotto drasticamente il caffè, che, insieme all’alcol e ai cracker, è la mia fonte principale di calorie.

Mi sento meglio?

Per nulla: l’insonnia, le trattorie e i Martini fanno parte della mia vita molto più di questa dieta quaresimale da piccolo Ignazio di Loyola e mi sento come un Bukovsky vegano, sul procinto di un matrimonio religioso con l’istruttrice di yoga.

Praticamente pronto per il funerale.

La città in cui viviamo (3156)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/10/2019

Il treno soppresso

La città in cui viviamo è anche una ragazza di ventuno anni che si suicida sotto un treno.

Il traffico che si blocca a causa degli accertamenti della polizia giudiziaria. E neppure un trafiletto sul giornale del giorno dopo, che era il 15 ottobre 2019.

Nemmeno una riga che ricordi quell’istante di dolore estremo che solo alla fine dell’adolescenza si può provare.

Perché era il giorno della cittadinanza onoraria a Richard Gere. Del sindaco che gli regala una maglia della fiorentina. Di un libro grande e bianco firmato con la calligrafia nitida di un giorno felice.

E il ricordo di quell’angoscia è solo nelle parole del capotreno ai pendolari del 3156 soppresso.

Richard Gere avrebbe detto commuters.

Il pianto della baldracca (Otto Dix)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
14/10/2019

Otto Dix sapeva disegnare.

Con coraggio.

Anche le baldracche. Le dipingeva come nature morte. Per raccontare di altro.

Hanno visi che raccontano le baldracche di Otto Dix, perché ci sono molti modi di guardare per una donna.

Lo sguardo che allontana è tipico della donna felice. Passa, semplicemente, attraverso.

Lo sguardo che accetta la conversazione degli occhi che la osservano. Esprime solo curiosità e non aggiunge nulla.

Lo sguardo malizioso che si allontana tornando. Lo si percepisce a distanza, timido ma rapace.

Ma gli sguardi delle baldracche di Otto Dix sono diversi. Sono gli sguardi offesi dalla conquista inutile. Che sanno di essere state di un uomo incapace di proteggere. Sfacciati.
Sbellacciati di rossetto disfatto. Con l’arroganza del trucco pesante alla fine di una notte oltraggiosa.

Questi sguardi sanno di andare verso la morte inghiottendo schiaffi e sperma. Non hanno nessuna confidenza con le mani che – vedendo quello sguardo – perdono ogni rispetto e ogni ritegno. Appartengono a uomini che pretendono con la stessa compassione di un’onda che scopa uno scoglio.

Non era degenerata l’arte di Otto Dix. Era degenerato il mondo che lui vedeva e che non è cambiato per nulla.

Perché il segreto di quegli sguardi non è la lascivia del vuoto. E’ l’eredità del vizio.

Signorina è una espressione temeraria

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
23/07/2019

Alle sette, non manca già nessuno.
Il popolo della sala d’aspetto si è accomodato al suo posto.
All’apertura del cancello è sciamato come all’ingresso di scuola. La stessa inutile fretta. Incomprensibile perché le maestre assegnano il banco al cominciare dell’anno e così è qui dentro: il banco delle urgenze, il banco dei diabetici, il bando dei prelievi comuni e quello dei cronici.
Non c’è nessun bisogno di avere fretta, ma fa parte della stessa idea di assembramento il bisogno di passare avanti, di arrivare prima e qui il prima è mostra della propria sofferenza, della propria vecchiaia affamata di dolore. Quel dolore che fa sentire vivi perché la vita è speranza e il dolore apre il cuore alla speranza del sollievo. Chi soffre spera senza sosta di stare meglio, di riuscire a respirare senza affanno, chi ha sofferto non sta mai bene perché in quell’istante teme di tornare a stare male, sa che tornerà a stare male. Gode di questo spazio in cui può riuscire a passare avanti (sto un po’ peggio di voi) e magari a lasciare indietro chi sta peggio di lui/lei perché la sofferenza degli altri fa sempre compagnia e dà un grande sollievo, come una coperta carica di pulci per un mendicante che singhiozza di freddo.
L’ecosistema è tutto qui.
Manca solo la “signorina” dietro il banco.
Non ho idea di chi abbia avuto l’idea di definire “signorina” la cortesia più o meno sgraziata che siede davanti al computer dell’accettazione. E’ una definizione crudele.
Lo sottolinea il tipo che viene brontolato perché non si era accorto di essere chiamato, non aveva colmato lo spazio fra il suo banco e la cattedra nel tempo che gli era stato assegnato.
Accetta il rimprovero a testa bassa, ma poi alza gli occhi: “Signorina …, certo che signorina, nel suo caso, è davvero una espressione temeraria”

Il freddo del mare

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/01/2019

Il freddo del mare ha il collo alto delle uniformi blu marina, gli occhi vuoti dei calamari, la solitudine delle barche quando l’armatore è un motore che si accende durante il finesettimana.

Il mare si conosce solo d’inverno, lo dicono i vecchi marinai, quelli che non riescono a tornare a casa la sera se non hanno sentito il profumo dell’acqua mischiata al sale e alla nafta.

Ma non è così. Il mare è come le donne. Si conosce solo se si ha il coraggio di restarci accanto quando all’estate segue l’inverno. D’estate il mare non mantiene sempre quello che promette. L’inverno, spesso e invece, dà molto più di quello che si attendeva.

Un marinaio prende il mare quando sa di dover partire perché sa di saper tornare.

E questo lo fa solo chi ha abbastanza amore da non spengere la luce nell’inverno della passione. Quella passione che è rimasta dall’estate e che nessun freddo può far dimenticare.

Aviazione (Dove la mancia serve a comprare i lecca lecca)

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27/11/2018

L’Aviazione è una pizzeria, non troppo lontana dalla stazione di Campo di Marte a Firenze.

Una di quelle pizzerie che fanno anche hamburger con patatine, hot dog e ali di pollo fritte.

Teoricamente piacevole.

Piacevole fino a un venerdì nel quale la cena con i parenti venuti da lontano era stata prenotata da tempo per ovvia comodità ferroviaria e dopo ampie discussioni familiari.

La cena c’è stata e ci sono stati anche i parenti. Ma non c’erano solo loro, c’erano anche montagne di bambini scalmanati che hanno reso impossibile qualsiasi forma di conversazione , gridando, cantando e passando fra i tavoli come cuccioli di lupo della Tasmania. Inutile chiedere ai camerieri uno sforzo da domatori di fiere in fieri. Assolutamente inutile.

Per pagare il conto, bisogna andare alla cassa e alla cassa c’è il tipico proprietario di pizzeria che si veste alla boutique dei proprietari di pizzeria d’un certo livello, il quale chiede se è andato tutto bene.

E’ andato tutto bene, anche se nessuno ha chiesto il livello di cottura della carne quando veniva ordinata, ma è un particolare irrilevante. E’ dispiaciuto invece cenare con lo stesso livello di pressione sonora di una mensa d’asilo o di una cava di calcare.

Il proprietario della pizzeria risponde che, come sanno tutti, chi prenota non può non sapere che all’Aviazione il venerdì e il sabato ci sono bambini che giocano e corrono.

Il cliente si scusa: Se è così, se questo è il vostro business model, mi scuso per avere protestato. Evidentemente sono stato un idiota a ospitare da voi i miei parenti.

Prende il conto, paga con la carta di credito, si avvede dello sconto di dieci euro che gli è stato fatto, tira fuori una banconota da dieci euro dal portafoglio e la lascia con la ricevuta della carta di credito.

E’ la mancia? chiede il proprietario, stupito dal gesto.

No, è per i lecca – lecca, risponde il cliente, guadagnando l’uscita con la rapidità del suo mal di schiena.

Anche questa volta, gli occhiali sono serviti a qualcosa: senza non sarei mai riuscito a leggere lo sconto di dieci euro.

Il delitto perfetto

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/08/2018

Di Maio ha definito come un delitto perfetto l’aggiudicazione della gara per lo stabilimento di Taranto dell’ex Ilva ad Arcelor Mittal.

Sarebbe un delitto perfetto perché non sarebbe stato tenuto nel dovuto conto l’interesse pubblico al risanamento ambientale ma questa omissione non consentirebbe l’annullamento in via di autotutela della gara.

Il delitto perfetto, il delitto della Rue Morgue sognato da Edgar Allan Poe, è il delitto in cui il colpevole non può essere punito, perché  il colpevole non è l’assassino.

Le parti in gioco, il colpevole e l’assassino, sono la politica e l’amministrazione: il livello politico, che è definizione dei valori che consentono di unire le persone in una comunità, e l’amministrazione, che è la trasformazione di questi valori in realtà, per mezzo di imparzialità e buon andamento, rispettando il principio di legalità dell’azione amministrativa.

Per Di Maio, si ha un delitto perfetto perché le regole dell’azione amministrativa impediscono alla politica di tornare sui suoi passi, malgrado vi sia una lesione dell’interesse al risanamento ambientale di Taranto.

Non è un delitto perfetto: è il principio di legalità e sarebbe davvero terribile uno Stato che consentisse al principio di legalità di cambiare di senso ad ogni avvicendamento politico.

Di Maio, però, non parla più di Ilva, sembra essersi arreso, sembra avere trovato nella retorica del delitto perfetto il motivo per giustificare il tradimento di una promessa elettorale piuttosto chiara.

Parla, invece, con lo stesso vigore, della concessione ad Autostrade e urla, insieme al suo ministro Toninelli, a gran voce che questa concessione deve essere revocata e che è il momento di tornare alle nazionalizzazioni.

Anche in questo caso, sembra di poter parlare di un delitto perfetto: perché la revoca della concessione a Autostrade per l’Italia non riguarda il livello della politica – il livello della costruzione dei valori e della comunità – ma il livello amministrativo: dipende dall’analisi della convenzione in essere e dalla comprensione pro veritate della gravità dell’inadempimento commesso dal gestore nel momento in cui il ponte Morandi è crollato.

Ma lo stesso vale anche per il proclama con cui Di Maio affida a Fincantieri l’opera di ricostruzione del ponte, senza considerare che, forse, è la convenzione in essere che regola chi affida i lavori che devono essere svolti e a quali condizioni e che comunque la scelta di un appaltatore non appartiene al livello politico.

Quando si parla di eccesso di potere, si parla anche di confusione fra politica e amministrazione, di un’amministrazione che si lascia condizionare dalla politica e di una politica che vuole scendere al livello dell’amministrazione.

E’ quello che Di Maio lamenta quando parla della gara sulla ex Ilva ed è esattamente quello che Di Maio fa quando parla di Autostrade: il suo ruolo dovrebbe essere di passare le carte all’Avvocatura dello Stato perché definisca le iniziative da intraprendere per tutelare l’interesse nazionale e, in questo, non c’è niente di politico.

C’è un contratto da interpretare.

Distinguere fra colpevoli e assassini è la base dell’eccesso di potere: Di Maio è il colpevole della revoca della concessione a Autostrade, se mai ci sarà, ma non è l’assassino, perché non può essere lui a disporla, deve essere il ministero delle infrastrutture, compiuti i necessari passi e rispettata la legalità procedimentale.

Anticipare a livello politico le scelte amministrative serve solo a precostituire un sintomo di eccesso di potere, ovvero a commettere un delitto perfetto: fingere di revocare, revocare con un provvedimento illegittimo in modo da consentire a Palazzo Spada di annullare la revoca, con buona pace di tutti: della politica che può affermare di avere fatto tutto quello che poteva, persino un provvedimento illegittimo, e delle Autostrade di Atlantia che possono riprendere i loro affari.

Avremmo voluto un mondo diverso, ma avremmo voluto anche un vice premier che non si fa ritrarre dal fotografo di corte dei Benetton (Oliviero Toscani) mentre attacca il loro impero economico, senza accorgersi dell’ironia di quel ritratto.

Fermate la Befana

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
05/01/2018

Davvero posso ritardare l’Epifania?

La Befana che arriva di notte può essere fermata a qualche valico e trattenuta per qualche giorno?

Mi piacerebbe che queste vacanze durassero ancora per qualche minuto.

Che non fosse già arrivato il momento di spengere le luci all’albero di Natale e di chiudere il presepio nella sua scatola.

Ma è arrivato e (fortunatamente?) nemmeno le grandi corporation della rete possono ritardare il calendario liturgico.

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