L’assistente sciacquapelletiche
Sta lì.
Seduto, buono buono.
Il vestitino pissero e spiegazzato nello stesso tempo, la faccia di chi quando parla dice cose importanti e per questo sta zitto.
Sta lì.
Seduto, buono buono.
Il vestitino pissero e spiegazzato nello stesso tempo, la faccia di chi quando parla dice cose importanti e per questo sta zitto.
Regali prima di natale.
Imbarazzanti.
Difficile decidere se si devono scartare ‘nanti il donante o se si deve aspettare.
Lo Scaccabarozzi, a lungo, è stato un esempio in materia.
Riceve i regali con signorile distacco.
Li appoggia sulla seconda scrivania della sua stanza.
Sorride, con un fare di bambino, che fa una porca figura sulla sua faccia, e chiede se può aspettare di aprirli sotto l’albero.
Con i figli.
Scusandosi ed aspettando il permesso.
Con la timida cortesia che rivela un segreto vergognoso ed intimo.
Un bel modo di fare.
Finché un natale di molti anni dopo non ti torna il regalo che gli avevi fatto molti anni prima.
Da una persona diversa.
Ma con sempre il tuo biglietto dentro.
E capisci.
Non era signorilità.
Era tirchieria.
O, forse, spirito ecologico.
Piange lacrime di campagna.
Lacrime di cellulare.
Sul predellino di un treno.
Incurante ingoia la sua rabbia e urla.
Non le interessa essere ascoltata o riconosciuta.
Le basta il piangere ad una voce.
Di cui si intuisce la distrazione.
Smazza un elenco di ingiustizie come un croupier senza eleganze.
Povera piccina.
Non è possibile non ascoltare.
E’ assistente volontaria in un laboratorio.
Non resiste ai colleghi.
Non resiste perché loro canticchiano mentre lavorano.
Perché è la più giovane e pretendono che faccia le cose subito e bene senza spiegarle cosa deve fare.
Ha inviato un pro memoria all’assistente più anziano con le cose da fare e questo le ha risposto che prima di ricordare le cose a lui, deve imparare a farle lei.
E’ rimasta fino a tardi e quando è uscita ha trovato gli altri che chiacchieravano allegri fuori dalla porta.
Lavora dodici ore tutti i giorni e nessuno la paga.
Povera piccola.
Non capisce.
E’ una questione di phisique du role.
L’università è molto una questione di phisique du role.
Loro glielo stanno semplicemente facendo capire.
Crudelmente.
Come è sempre crudele la lotta fra chi non ha nulla e vorrebbe tutto.
Non capisce ma pone una domanda: Se è così e così è per davvero, ha senso educare un figlio all’accoglienza?
Si è già detto che buttare fuori uno studente è una sconfitta.
Una sconfitta noiosa perché ritornerà e, sicuramente, non sarà più divertente.
Buttare fuori tutti gli iscritti ad un appello è una debacle assoluta.
Soprattutto, però, il buttar fuori è una questione di buon gusto.
Si può fare in molti modi e si deve fare attenzione a non ferire il candidato.
E’ un esame e il non superarlo significa solo non avere studiato abbastanza.
Non significa altro.
Il mio maestro, il mio primo maestro, che era ferocemente (o dannatamente?) innamorato della sua materia, che dette un solo 30 e lode in quaranta anni di insegnamento ad un allievo che poi lo abbandonò per un altro settore disciplinare, meno giuridico e molto più politico, quando arrivava a buttare fuori (ovvero nell’ottanta per cento dei casi), si metteva la testa fra le mani, la scuoteva, alzava gli occhi da cane pastore e diceva No, non è possibile … Se ne vada, La prego, se ne vada e non torni prima di ….
Dopo di che segnava nome e data su un libretto nero e il candidato sapeva che quando sarebbe tornato il suo esame avrebbe potuto avere inizio solo se lui avesse saputo rispondere alle domande che non aveva superato.
Personalmente, ho sempre trovato questa abitudine un inutile esercizio di masochismo.
Seguo una strategia diversa: sorrido, sorrido molto gentilmente e dico Beh, forse il Suo esame non è andato benissimo, forse tornerei al prossimo appello.
Di solito, il candidato capisce e si alza.
Se non capisce, continuo a sorridere, e dico Vede, mi dispiacerebbe darLe un voto particolarmente basso…
Normalmente, il candidato si alza, felice di essere compreso: nessun idiota si rende conto di esserlo.
Alcuni non capiscono, l’ultima chance, a quel punto, è Lei è una persona intelligente, davvero, crede di meritare un voto che la Sua intelligenza non merita?
Terribili sono quelli che cercano di giustificarsi: Lei ha ragione, professore, ma non ho potuto studiare, ho una situazione familiare difficile.
Oppure, E’ vero ma gli esami di diritto sono così difficili, bisogna studiare le leggi.
O ancora – oggi – Torno, ma mi dispiace davvero tanto: Lei non ci crederà, ma il fatto è che ieri sera ho perso tutto il pomeriggio per registrare un voto.
Che significa?
Che basta un pomeriggio per preparare il mio esame?
Non è la giustificazione più diplomatica che abbia sentito nella mia vita.
Lezione di diritto costituzionale.
La problematica costruzione dei principi della Costituzione economica in una società liquida.
Tema complessuccio.
Su un passaggio del discorso – la costituzionalizzazione implicita del diritto allo sviluppo sostenibile per il tramite di una interpretazione assiologicamente orientata degli artt. 1, 2, 3 e 9 Cost., nonché del rinvio mobile di cui all’art. 11, Cost. – entra un energumeno con dreadlock.
–> Mi scusi, Professore, ho bisogno di una sedia.
Prende la sedia dietro alla cattedra e esce.
Stupore.
Rapido pensiero all’antico maestro e a cosa avrebbe fatto.
Esco dall’aula e lo rincorro: Posso portarle la sedia?
Non e’ possibile non ricordarlo.
I suoi esami erano oscuramente imprevedibili e si interrompevano all’ora dell’aperitivo che lo trascinava via con il suo codazzo – molto romano – di seguaci, postulanti ed idioti vari.
Il suo corso consisteva di sessanta ore di didattica frontale sul valore dei diritti immateriali, che spiegava in un oscuro dialetto calabrese con qualche sprazzo di tedesco che faceva piu’ migrante che begriffjurisprudenz.
Aveva quell’altezza in cui il cuore non si stacca dal culo piu’ di venti centimetri e le merit che fumava sembravano avana.
Si diceva che avesse violentato una studentessa. Non e’ certo. So solo che una tipa diceva di esserci stata e di aver preso un secco 18, non per la preparazione ma per la prestazione.
Non ci ho mai creduto.
Lo ricordo – pero’ – far lezione, in cima ad una pedana imponente. Nano, ciononostante. Ma ginocchioni sui braccioli pareva meno piccino. Ricordo anche che una volta la sedia girevole si volto’ improvvisamente donando a noi che eravamo a non capire nulla una enorme risata liberatoria.
Nemmeno dimentico il 23 con cui liquido’ la mia preparazione spinto da un aperitivo a non perdere troppo tempo dietro ai miei brufoli.
Un insolito concorso me lo ha trascinato innanzi oggi.
Ho salutato con cortesia l’anziano collega e sono rimasto a prendermi la battuta: Vedo che ha fatto carriera. Come dire, in altri settori e’ piu’ facile. Con me non avrebbe fatto nulla di buono.
E siccome ho una voce roca e potente, non ho saputo rinunciare a sovrappormi e narrare: Che piacere trovarla, che piacere ricordare le sue lezioni. Ricorda? [Ricordi, nano gongolante?] Ricorda il giorno in cui cadde dalla cattedra? [Arrossisci, nanetto buffo] Come seppe mantenere la disciplina. Davvero altri tempi, altre tempre….
E sono andato via.
Senza sentirmi orgoglioso.
E’ un vecchio. Spelato ed isterico. Solo un vecchio.
La discussione delle tesi di laurea è un momento arcano ed oscuro della vita accademica.
Resiste nel rituale un tenue ricordo di quando le università erano composte di poche centinaia di studenti e le tesi venivano davvero discusse: l’allievo doveva dimostrare di essere all’altezza del maestro ed il maestro grazie ai suoi allievi affermava la sua sapienza.
C’è anche una vaga aria da festa di paese: l’aula magna si riempie di signore assai poco abituate ad infagottarsi nei vestiti della domenica e molte delle mani che si stringono quando si ha l’ipocrisia di congratularsi con lo studente non hanno l’aria di avere impugnato molte penne.
Di qua dal tavolo, le tesi di laurea sono un momento di straordinaria noia.
Ci sono varie tecniche per sopravvivere ad una sessione: contare i "cioè" della esposizione del candidato, scommettere sui voti finali prima della discussione, giocare a brik breaker o a sneak sul portatile, etc.
Uno degli strumenti migliori di sopravvivenza è il blackberry: consente di ripassare la posta dell’ultima settimana e di rispondere a quelle mail che sembrano scritte apposta per essere dimenticate.
Per fortuna, ci sono dei colleghi che fanno di tutto per movimentare le sedute.
Così, è successo che un simpatico collega piuttosto anziano, non particolarmente famoso per le sue doti scientifiche, ma molto più noto per i denti che si rincorrono l’un l’altro disegnando un labirinto cariato, abbia introdotto il suo candidato con uno splendido concione sulle conferenze di servizi: E’ una tesi davvero interessante, si occupa di un punto centrale del diritto amministrativo, le conferenze di servizi sono uno degli strumenti più moderni di raccordo interistituzionale, etc.
Fin qui, una relazione noiosa, ma nulla di eccezionale.
Lo strano era guardare il candidato, sempre più a disagio, sempre più preoccupato, si agitava sulla sedia, sembrava sull’orlo di sentirsi male.
L’anziano relatore si accorge che qualcosa non sta funzionando.
Si ferma.
Guarda il candidato.
Il candidato è completamente rosso.
Interviene il Presidente.
Chiede cosa stia succedendo.
Il candidato, con imbarazzata flemma, risponde che la sua tesi non riguarda le conferenze di servizi, ma la conferenza Stato – regioni, che sono una cosa completamente diversa.
A questo punto, è il relatore che arrossisce.
Nemmeno troppo.
Gli è successo di peggio: una volta è stato trovato in un gabinetto mentre si dilettava more ferarum con un giovane allievo e sono cose che nessuno dimentica.
Si è detto molte volte che l’università sa essere stupefacente.
Sa donare delle scene che non si sarebbero mai immaginate.
E’ un mondo divertente e terribile da osservare con animo distaccato.
Può succedere, ed è successo, che il telefono squilli improvvisamente alle sette del mattino.
Dall’altra parte, un professore al quale non si deve particolare gratitudine.
– Buongiorno
– Buongiorno
– Mi scusi se l’ho svegliata
– Non si preoccupi, non stavo sognando
– Le dispiace fare lezione alle otto e trenta?
– Affatto, lo considero un onore e La ringrazio. Di cosa devo parlare?
– Mah, non lo so. Decida lei. Parli di quello che vuole. Farà sicuramente meglio di me
– Parlerei di sistemi elettorali, se può essere d’accordo
La risposta resta nel filo del telefono. Ha agganciato.
Ecco una cosa che lo Scaccabarozzi non avrebbe mai fatto e che io spero di non fare mai.
Lo Scaccabarozzi è un tipo molto cattolico e timorato di dio.
Ha una moglie, non particolarmente bella ma sempre ben tenuta, e due figli che sono fra i più grandi rompipalle della storia dell’uomo.
Lo Scaccabarozzi riceve i suoi allievi in uno studio stracolmo di libri.
Sa di polvere e di nottate passate a leggere i commentari.
Lo Scaccabarozzi arriva sempre in ritardo.
Butta la borsa sul tavolo e comincia a tirare fuori una alluvione di fogli.
Gli allievi sono seduti di fronte a lui, il blocco sulle ginocchia, prendono appunti sulle cose che lo Scaccabarozzi dice.
In una situazione come questa, mentre lo Scaccabarozzi tirava fuori le sue carte e le buttava sul tavolo, dalla sua borsa, che assomiglia al gonnellino di Eta Beta o all’intimità di una porno diva, è uscito un pacchetto di preservativi.
Il pacchetto di preservativi ha deciso di volare per aria.
Ha fatto un breve volteggio ed è atterrato ai piedi di uno degli allievi.
Il mondo si è fermato per un istante.
Immobile lo Scaccabarozzi.
Immobili gli allievi.
Lo Scaccabarozzi si è subito ripreso buttando la borsa fra i piedi dell’allievo, sopra i preservativi.
Naturalmente, nessuno ha riso.
Ma a lungo gli allievi si sono chiesti se lo Scaccabarozzi quei preservativi li usasse o li portasse con sé per prudenza, in modo da poter validamente fare fronte ad un bisogno urgente o ad un energumeno attratto dalle sue grasse terga.
Si è detto che lo Scaccabarozzi è un gaffeur inimitabile.
Mettete che una sera vi sia una cena.
Una cena importante, con le autorità.
Ma anche galante, con le signore inguainate negli abiti da sera e con i collari di oro bianco.
Una cena in cui si assaggia senza mangiare.
Si annusa senza bere, e così via.
Ecco in una occasione come questa, lo Scaccabarozzi mangia come un maiale e beve come un otre.
La fine può essere imbarazzante.
Allo Scaccabarozzi potrebbe presentarsi un allievo più giovane, ma nemmeno troppo.
Diciamo un allievo restato giovane malgrado gli anni.
Accanto all’allievo potrebbe esserci una signora che non è sua moglie e che è ancora più giovane.
Perché l’allievo ha appena lasciato la sua famiglia ed è andato a vivere con questa signora.
E allo Scaccabarozzi, che conosce benissimo tutta la storia, potrebbe venire in mente che quella signora è una amica di suo figlio.
E’ coetanea di suo figlio.
E mentre il vino pulsa nelle tempie del povero Scaccabarozzi, gli potrebbe anche capitare di dire alla giovane signora: "Senti, ma mi spieghi perché invece di andare con i ragazzi della tua età, hai deciso di rovinare una famiglia?"
Magari a voce troppo alta, in un interstizio di silenzio.
Appena stemperato dalla pietà dell’allievo: "Professore, La posso accompagnare a casa? Forse stasera ha fatto un pò tardi".