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Tag Archive for: tristezza

Un foulard che sapeva di cioccolata

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/03/2021

Oggi non compi ottantasette anni.

Non ci sei arrivata e non ho avuto bisogno ieri sera di comprarti un regalo all’ultimo momento perché ti piacevano i regali e ti dispiaceva non riceverli.

Una delle tante cose in cui siamo uguali.

Ti avrei comprato un foulard.

Non perché ti piaceva, ma perché piaceva a me, quando ti toglievo il cappotto o la pelliccia sentire per un istante il tuo profumo su quel pezzo di seta.

Sono andati persi, come i tuoi gioielli. Rubati da badanti e da cattivi affetti.

Ti avrebbe fatto male e non avresti sorriso.

Bambina sfollata nelle campagne dove la nonna doveva andare a servizio da una contadina che la pagava con qualche fetta di pane perché il nonno era scomparso nei labirinti della seconda guerra mondiale.

Hai conosciuto il sapore della fame, hai sognato con quel dolore a riempire lo stomaco.

Lo hai portato dentro di te per sempre, anche quando la fame non c’era più da tanto tempo.

Perché la cioccolata degli sfollati ha un sapore tutto suo.

Un sapore che tatua l’anima.

E quei tatuaggi hanno accompagnato tutti i tuoi sorrisi.

I sorrisi di una bambina che non riusciva a guardare i fochi di San Giovanni senza ricordare i bengala dei bombardamenti che hanno distrutto la casa in cui eri nata.

Mi manchi e soprattutto mi addolora non essere mai stato capace di cancellare quei tatuaggi dalla tua anima.

Anche i figli, in fondo, sono doni e come tutti i regali possono essere una gioia o una delusione.

Ed io so di essere stato una delusione per te perché non ho mai sopportato di dover essere un regalo che cancellava dolori che non mi appartenevano, sanava ferite che non comprendevo.

So di essere stato questo: un regalo sbagliato e, purtroppo, l’ho sempre saputo.

La morte di Caravaggio

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/11/2020

Caravaggio è morto nella febbre di una spiaggia, vicino a Porto Ercole.

E’ morto guardando il Sole, cercando di annullare il suo sguardo nella luce, di trasformarlo in calore, nel freddo sudato della febbre.

Solo di tutte le notti che aveva dipinto, cercando una luce che non mostrasse le unghie sporche di Bacco, un ragazzo di taverna che gli aveva trafitto il cuore mentre lui gli trafiggeva il culo.

La bellezza di Caravaggio aveva le unghie sporche anche quel giorno come ogni altro giorno che aveva vissuto e la febbre non era una malattia, era il suo modo di vedere, si faceva trafiggere dalla luce fino a trovare l’ombra della bellezza.

Bacco era su quella spiaggia a Porto Ercole e osservava la febbre di Caravaggio.

Da lontano, indeciso se salvare quello sguardo, accarezzarlo ancora una volta, accettarlo dentro di sé o se scappare lontano perché ci sono sguardi che attaccano la febbre, ci sono dei mal di vivere talmente belli che non si riesce a non star loro vicino fino a che non si comprende che il prezzo di quella vicinanza è lo stesso mal di vivere.

Caravaggio lo osservava, con i soliti occhi che trovano la notte della bellezza, sperava in un abbraccio che lo salvasse dal freddo della rena gelida di rugiada, che lo portasse vicino al Sole. Ma era troppo bella quella solitudine. Era troppo bello il quadro che la sua morte stava dipingendo.

I ritorni straziano il cuore e l’unica cosa che Caravaggio, Rimbaud e Casanova possono fare quando tornano è morire prima che le loro vite smettano di bruciare, consumarsi prima di essere fiamme che si spengono di consunzione invece di lasciarsi soffocare dal vento.

La dolcezza del ragno

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/07/2020

La dolcezza del ragno è la sua tela: schifosa carezza

il suo abbraccio, terribile sonno

il suo veleno, meravigliosa agonia

Tutto questo è amore.

La nausea che colpisce lo stomaco

la carezza di una tela più morbida della seta

l’abbraccio della ragnatela che lentamente si stringe e porta con sé un sonno sempre più profondo

il veleno che trasforma l’agonia in una sequenza di sogni dolcemente moribondi

Tutto questo è amore.

Amore che uccide abbracciando e colmando la morte di sogni immemori.

Il ragno ama le sue vittime e le sue vittime amano il ragno perché non c’è morte più dolce di quella che si trova nella sua tela.

Clockdown

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/04/2020

La pandemia ferma gli orologi

L’immagine di questi giorni è un orologio automatico che si ferma.

Non perché è guasto, ma perché passa il suo tempo sulla scrivania, a segnare un tempo che passa nella immobilità del distanziamento sociale.

Gli orologi automatici hanno bisogno di muoversi. Il tempo ha bisogno di muoversi. La misura del tempo è misura di un movimento.

Quando il tempo è un bollettino della protezione civile, gli orologi si fermano e con loro tutte le cose che non saranno più come prima.

Tornerà come prima?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/03/2020

Nemmeno in tempo di guerra

Anziani in fila per il pane. La mascherina calcata sul viso. Occhi soddisfatti: non sono più i soli a essere chiusi in casa. Tutti vivono come loro.

Non c’è festa in chi esce, c’è quella mestizia dell’ora d’aria in carcere, quando il passeggiare è consapevolezza di ciò che è proibito dal peso delle proprie colpe.

La casa è un modo diverso di lavorare, lontano dalle cose e dalle persone, le lezioni sono parole a un monitor e c’è una lentezza terribile in tutto.

Ci si parla a distanza, più di un metro, senza sfiorarsi, senza poter sussurrare e c’è vertigine, attesa, timore, palpabile e pesante.

Molti sono travisati, non mostrano il viso, si nascondono nelle loro mascherine, con la gioia di un carnevale di peste.

Niente tornerà come prima e non riavremo mai più quello che questa peste ci ha portato via mentre ci ammaleremo tutti di quello che ci ha donato: il senso della distanza e del travisamento, il timore di chi abbiamo amato e abbiamo perduto di travisamento e distanza.

Il dono della peste è il vuoto pubblico e sapere che si può vivere nel vuoto è non poterne più fare a meno.

Anche quando il caldo ci avrà restituito le piazze.

Va bene. Va bene così.

La città in cui viviamo (3156)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/10/2019

Il treno soppresso

La città in cui viviamo è anche una ragazza di ventuno anni che si suicida sotto un treno.

Il traffico che si blocca a causa degli accertamenti della polizia giudiziaria. E neppure un trafiletto sul giornale del giorno dopo, che era il 15 ottobre 2019.

Nemmeno una riga che ricordi quell’istante di dolore estremo che solo alla fine dell’adolescenza si può provare.

Perché era il giorno della cittadinanza onoraria a Richard Gere. Del sindaco che gli regala una maglia della fiorentina. Di un libro grande e bianco firmato con la calligrafia nitida di un giorno felice.

E il ricordo di quell’angoscia è solo nelle parole del capotreno ai pendolari del 3156 soppresso.

Richard Gere avrebbe detto commuters.

Suicidio per cause naturali

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/06/2019

Viale Mazzini

Era nata o nato in un corpo che non era il suo.

Aveva imparato a nasconderlo e forse lo aveva anche cambiato un po’.

Camminava, spesso, in quelle ore in cui non ci si incontra. Quelle ore che nascondono le rughe e nelle quali è più facile lasciarsi amare da chi non conosce l’amore.

Viaggiava con gambe muscolose. Fasciate in fuseaux neri che la facevano somigliare a un ciclista più che a una donna.

Solo una volta l’ho sentita parlare. Ha preso fra le sue le mani di una donna di servizio. Una ragazza, rumena, poco più di venti anni. Meno di trenta all’anagrafe. Molti di più allo specchio, ma quello non importa.

Ha detto che erano belle ma le unghie erano rovinate e le ha chiesto di passare perché voleva sistemarle. Ha voluto specificare che non le avrebbe chiesto nulla.

Ho visto il sorriso di quella ragazza. Sfiorata da un’attenzione piena di dolcezza. Un sorriso di chi non spera più di trovare parole dedicate a lei.

Adesso, è morta. Come si muore in un appartamento. Sola e di solitudine. Suicidio per cause naturali, anche se il medico legale scrive diversamente.

Ma a me piace ricordarla mentre camminava. Fuori luogo, nelle ore più calde o in quelle più fredde. Mi piace pensare che sia stata ingoiata dalla strada, da questa strada che osservo ogni giorno dall’alto e che mi somiglia a un mare.

Un mare senza pietà che sa inghiottire i suoi naufraghi e non dona nessuna allegria a chi sopravvivendo riprende il viaggio.

Resta la sua casa con le finestre chiuse come palpebre sotto il sudario.

Il meriggiare del decano

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
10/05/2019

I convegni hanno un cerimoniale piuttosto rigido che riserva a ciascuno il suo posto.

I decani della disciplina hanno diritto alle prime file. Gli ordinari alle seconde. Gli altri, non importa: sono lì per salutare ed essere visti.

I decani in pensione per avere oltrepassato anche il limite d’età per il cimitero non hanno un posto preciso perché non hanno più nessun peso. Si presentano un po’ per far vedere che sono ancora vivi e un po’ per sentirsi meno morti.

Alcuni prendono posto nelle prime file. Altri si sorreggono come naufraghi al primo che li saluta.

All’avvio degli interventi e delle relazioni, si abbioccano. Il sonno ad una certa età è allenamento e non solo bisogno.

Il loro russare serpeggia nell’aula come un frinire di cicale nel meriggiare della loro giovinezza.

Nessuno, però, sorride.

Perché è pieno di senso questo modo di prendere commiato dalla propria dignità.

Elena non ha perso la guerra di Troia

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
07/03/2019

Elena non ha perso la guerra di Troia

L’hanno persa Agamennone, Achille, Filottete, Ettore, Priamo, Paride…

Tutti, tranne Elena, forse, hanno perso la guerra di Troia

Nessuno di questi eroi ha però mai vissuto

Veramente vissuto

Se non nell’infinito di quelle battaglie

Il prezzo di Elena è vivere, riposare, amare dopo avere respirato il fumo della pira di Patroclo

Questo Elena ha donato ai suoi re, principi e schiavi: l’eterna morte di chi è condannato a vivere dopo avere vissuto

Non le è importato perché, forse, anche Elena è morta quando l’ultimo principe si è allontanato dal buio illuminato dal selvaggio baccanale dei saccheggi

Ha scoperto di essere sola

Più sola del mare d’Ulisse.

Il primo giorno di primavera è un inganno

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/01/2018

Il primo giorno di primavera è un inganno.

Non perché la primavera non arriva ai primi di gennaio.

E nemmeno perché stanotte pioverà di burrasca e domani sarà freddo.

Ma perché dopo ogni primavera l’inverno torna e credere nella primavera è come credere nei fiori.

Un inganno che appassisce.

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