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Il ricatto dei rider

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2019

1971

Norma Rangeri sul Manifesto di questa mattina ha preso una posizione chiara a favore dei rider, i fattorini che portano piatti pronti dai ristoranti alle case dei loro clienti.

I rider hanno fatto notare ai clienti, ricchi e famosi ma anche piuttosto tirchi, che sanno dove abitano.

Il che suona come Voi non ci date la mancia e noi raccontiamo a tutti dove state di casa, così imparate

Per Norma Rangeri, non ci sarebbe niente di male in un fattorino che chiede la mancia e ciascuno dovrebbe sentire il dovere di remunerare spontaneamente il lavoro di chi sa non essere pagato in misura tale da poter vivere una esistenza libera e dignitosa secondo il contratto collettivo di riferimento.

Una posizione più che discutibile e molto vicina alla retribuzione compassionevole del cameriere nei paesi di lingua inglese.

La prima volta che sono stato in un albergo di lusso, il facchino mi prese la borsa malgrado le mie proteste, mi accompagnò alla camera, mi mostrò con cortesia tutto quello che dovevo sapere e, quando tirai fuori di tasca cinquemila lire, disse Questo è il mio lavoro chiudendo la porta sul mio imbarazzo.

La lotta per un contratto più giusto ed equo è ragionevole, legittima e, spesso, degna di ammirazione.

Il ricatto per la mancia è altro. E’ l’assalto dei miserabili al palazzo del re.

Dispiace leggere sul Manifesto la sua difesa ma un tempo in via Tomacelli c’era anche l’ufficio di Craxi e non solo la redazione del più puro fra i quotidiani della nazione.

Leda e Tindaro

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
25/04/2019

Leda non amava Tindaro

Tindaro era re di Sparta

Leda, sua moglie

Bella, bellissima,

bionda da far innamorare un dio giocoso e imperscrutabile

Tindaro era violento come un re razziatore e contadino.

Sua moglie non era sua moglie, era il trofeo della sua forza,

un trofeo da esibire e umiliare.

Leda si innamorò dei cigni,

della loro eleganza, della loro capacità di nuotare come statue antiche e di volare con l’eleganza di un’aquila,

ma anche della loro fedeltà, della capacità delle femmine di covare le uova e dei maschi di fare la guardia al nido,

Leda pensava questo seduta davanti a un canneto

Ci pensava mentre sapeva che Tindaro stava tornando da una lontana razzia,

coperto di gloria, sangue e fango,

sporco delle donne che aveva posseduto, preda di guerra e umiliazione,

tronfio delle donne che possedeva, preda di guerra e umiliazione,

prezzo pagato con il sangue di amici, fratelli, compagni.

Ci pensava perché sapeva che quella notte Tindaro avrebbe preteso il prezzo del suo trionfo,

le sarebbe salito addosso, avrebbe sudato sino a liberarsi,

umiliandola di dolore e del desiderio di finire presto,

quel desiderio che fa fingere orgasmi profondi e pronunciare parole orribili,

tutto purché sia finito questo peso sulle spalle,

questo odore di altre che la soffocava.

Leda pensava a tutto questo e guardava i bambini giocare pensando che Tindaro era loro padre

con la preoccupata vergogna di una madre che pensa a chi non potranno non somigliare.

Giove sapeva cosa provano le donne quando guardano i cigni e si trasformò in quel sogno di eleganza e fedeltà,

incuneandosi fra le gambe di Leda, riempiendola del piacere di essere proprietà di un animale fedele,

un animale capace di fare la guardia al nido mentre la sua femmina cova le uova.

Non fu così

Giove_cigno scomparve e Tindaro_re_razziatore arrivò,

pretese quello che era suo.

Leda gli dette quello che era suo,

con tutta la disperazione dei falsi orgasmi e delle parole orribili che lo appagavano.

Fu così che nacque Elena, Elena di Troia,

Fu così che Leda diventò Nemesi, la dea della vendetta.

Giove non le aveva dato una figlia, le aveva dato la vergogna di non sapere di chi fosse la figlia,

se del sogno che si era materializzata o del predatore che era tornato.

La vergogna che è vendetta verso un padre che non sa di guardare con orgoglio il frutto di lombi divini perché desiderati assai più dei suoi,

Ma anche verso la madre cui la vendetta è stata donata come una cicatrice che non saprà mai risarcire,

La ferita della vergogna di essere la moglie di Tindaro,

La ferita della vergogna di essere la madre di Elena di Troia,

La ferita della vergogna di essere stata l’amante di un cigno, che era il padre degli dei.

Altre sono le dee fortunate.

Il Cicisbeo e le sedie da giardino (ambizione e tenerezza)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/04/2019

AmbizioneETenerezza

Il Cicisbeo è un personaggio. Uno di quelli che hanno bisogno di farsi ricordare. Che quando entra in un negozio deve farsi riconoscere. Che crede di essere simpatico e che la sua simpatia sia l’arroganza di chi non ha saputo invecchiare e pensa di avere un’età che permette tutto. I cinque anni dei bambini che non hanno l’intelligenza per capire che Ma che bel bambino spesso significa Se potessi, ti spedirei sulla Luna con un calcio.

Il Cicisbeo ha deciso di acquistare delle sedie da giardino. Ha deciso di farle comprare da sua moglie e di accompagnarla. La povera donna sa quello che l’aspetta. Lo ha sposato come si sposa un matrimonio maldestro come un elettrodomestico aggiustato con lo scotch e adesso entra nel negozio portandosi dietro tutte le pene di una bocca che quando si apre è un vulcano che spruzza lava di merda.

Le sedie sono belle ma costano troppo. Il Cicisbeo sa come ottenere uno sconto. Avvicina un sorriso di otturazioni perfette e dentifricio alla commessa:

Alla Metro, le pago la metà

La commessa ha abbastanza anni da avere imparato da uno sguardo alla moglie del Cicisbeo i disturbi del personaggio e, soprattutto, non è la commessa ma la proprietaria e non le frega niente di perdere un cliente risponde, secca:

Su Amazon, di meno, e soprattutto, almeno lì, nessuno la vede

Anche questa, in fondo, è tenerezza e ambizione.

O ambizione e tenerezza?

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