Lezioni di stile (La concubina)
Benvenuti in casa Gori è un film.
Un film quasi incomprensibile per chi non è nato a Firenze da una famiglia normalmente plebea.
Perché è uno stato d’animo.
In cui la tristezza è un ridere sommesso e sguaiato nello stesso tempo.
Un ridere che fa parte di questa città come la tristezza coranica pavimenta Istanbul.
San Giovanni sono i fòchi.
Che sarebbero i fuochi di artificio.
Panem et circenses di produzione cinese.
Una casa per San Giovanni.
Un anziano padre ed una anziana madre che riuniscono la famiglia per vedere i fòchi.
Invitano tutti.
L’amico testimone di nozze del primo figlio.
La concubina sconosciuta del primo figlio.
Il secondo figlio.
Il suo carattere di merda.
Su tutto, una atmosfera di tragedia inelluttabile.
Appena nascosta dalle noccioline.
Esasperata dal vino caldo in una serata afosa.
Dal condizionatore a tutto volume.
La concubina è splendida.
Nel senso sguaiato e sommesso di questo aggettivo nel vernacolo quotidiano.
Se la allunga, senza poterselo permettere, si potrebbe tradurre.
Saluta come se fosse di casa.
– Sono felice che si senta a casa sua.
Che è come dire: Non è casa tua, stai un po’ al tuo posto.
L’anziano padre comincia a soffrire.
Non è uomo che apprezza le ironie.
Si parla di viaggi.
E’ stata a EuroDisney ed ha cenato con le principesse ed il principe Filippo.
– Fantastico.
Che è come dire: E chi se ne frega.
L’anziano padre porta in tavola una insalata di riso che ha visto giorni migliori e frigoriferi più efficienti.
Nessuno dice nulla.
Semplicemente si cerca di servirsi da soli per ridurre il danno.
Iniziano i fòchi.
Finiscono.
Senza riuscire a portare un’idea di spensierata fanciullezza.
Finiscono semplicemente.
Lasciando tutto irrisolto.
Come sempre.
Amaramente irrisolto.