Virma (Il caldo che non arriva)
Virma ha tutta l’aria della battona.
Quell’aria di battona sfatta che hanno le settantenni che hanno passato una vita sull’angolo di via delle seggiole: un enfisema di rossetto sguaiato e multiflter, le calze smagliate e l’addome di chi ti potrebbe dire che con la dentiera ti farà vedere le stelle, mentre senza ti porterà in paradiso.
Virma sposta lentamente le sue vene varicose, con la lentezza di chi cammina nel caldo.
Ma quest’anno il caldo non arriva e Virma, che d’inverno non si vede mai, ha un’aria imbarazzata.
Imbarazzata di questo fresco che dorme a finestre chiuse, imbarazzata di quest’aria frizzante che ancora non ingombra l’autostrada di ombrelloni e, come lei, una moltitudine: il tipo che si affaccia al balcone per aprire le finestre in mutande con quell’incuranza di afa che libera le canottiere, il tizio che prende a spintoni la moglie che si attarda sulle strisce mentre diventa rosso, o il solito tassista che sfiata rabbia come una balena contro le biciclette nella corsia preferenziale, anche se ha tutto lo spazio per superare…
Vi è in questo caldo che non arriva, quello stesso caldo che quando arriva diventa il malessere di tutti e il luogo comune di ogni conversazione, lo stupore del calendario di avvento senza natale.
Come se vi fosse nel caldo l’occasione di poter essere se stessi, come se quei pantaloncini da tennis tirati sotto l’ombelico per mimare un 46 quando l’addome misura 54 non fossero una disgrazia che esce fuori spinta dall’asfalto rovente, ma la vera natura di chi l’indossa e che aspetta solo il tempo per poter tornare alla luce.
Ma se ne può fare a meno…