Il tempo delle more
Il tempo delle mele ha rappresentato l’adolescenza di una generazione.
Avrebbe potuto chiamarsi il tempo degli ormoni ma probabilmente avrebbe venduto molti meno biglietti.
Il tempo delle more, invece, è il tempo della menopausa e dell’operazione alla prostata.
Sono gli anziani, coppie di anziani, che le raccolgono lungo le strade di campagna.
C’è qualcosa di profondamente poetico in quegli anziani, nella pazienza con cui camminano e nei cestini che portano sotto braccio.
Ma soprattutto c’è qualcosa di meraviglioso nel loro dialogo, si raccontano piccoli segreti fatti di niente, confidenze quotidiane, si scambiano parole che solo per loro hanno un significato che le rende speciali.
Quei cestini raccolgono il frutto che conclude l’estate e lo raccolgono perché c’è dentro tutta la dolcezza del tempo che è trascorso, perché sono stati capaci di trovarle insieme e perché le vogliono cucinare insieme: la marmellata di more, per loro, è il ricordo dell’estate che deve durare per tutto l’inverno.
Sono bellissimi e meravigliosi questi anziani che vivono il loro tempo delle more.
Il tempo in cui le ossessioni si sono calmate, sono diventate una marmellata di ossessioni, il ricordo di un’appartenenza reciproca che è stata capace di diventare dipendenza reciproca.
Il tempo delle more può essere infinitamente bello, lo si costruisce con le ossessioni del tempo delle mele, se si è capaci di essere la giusta ossessione della giusta persona, di condividere la stessa ossessione.
Perché niente è più triste del tempo delle mele che continua anche nel tempo delle more.
E niente è più bello di una ossessione coltivata con la pazienza di un cestino e cucinata con l’amore che la trasforma nella marmellata della vecchiaia, unrequited love.