Non è un Consiglio per vecchi
Il Consiglio del dipartimento di giurisprudenza, per la seconda volta in meno di quattro mesi, non è riuscito a raggiungere nella sua composizione ristrettissima, ovvero limitata ai soli professori ordinari, la maggioranza assoluta che era necessaria per assegnare un posto da professore ordinario.
Il posto è stato perso e per due anni non sarà possibile bandire un concorso in quel ruolo.
E’ stato il punto di arrivo di una procedura amministrativa faticosa e straziante, prima di tutto per coloro che vi erano coinvolti perché per un professore universitario diventare ordinario è un punto di arrivo particolarmente importante: significa essere considerato dai propri colleghi in grado di assicurare la fusione fra attività didattica e di ricerca che dovrebbe caratterizzare l’insegnamento.
Non vi si è riusciti perché la commissione di concorso aveva completato la propria attività senza individuare quale dei due candidati era più meritevole lasciando questo compito al consiglio che però per poter decidere poteva unicamente fondarsi sui giudizi formulati dalla commissione.
Non vi si è riusciti perché giudicare di due persone e della loro complessa personalità culturale, scientifica e didattica non può essere l’oggetto di una decisione da adottare a maggioranza assoluta.
Nel corso della discussione, si era fatta avanti una tesi particolarmente interessante fondata sull’art. 3, settimo comma, della legge 127/1997: Sono aboliti i titoli preferenziali relativi all’età e restano fermi le altre limitazioni e i requisiti previsti dalle leggi e dai regolamenti per l’ammissione ai concorsi pubblici. Se due o più candidati ottengono, a conclusione delle operazioni di valutazione dei titoli e delle prove di esame, pari punteggio, è preferito il candidato più giovane di età.
E’ una norma fondata su di un giudizio di valore: il candidato più giovane che raggiunge il candidato più anziano, sia nella valutazione dei titoli che delle prove, deve essere preferito. La sostanza del principio costituzionale del buon andamento ha un che di spietatamente darwiniano.
Questo argomento, però, è profondamente ingiusto: le carriere accademiche possono essere straordinariamente lunghe e questo facilmente accade indipendentemente dai meriti. Non è mai necessario essere amati ma la sola indifferenza può essere letale e l’inimicizia catastrofica.
La verità è che chi ha a lungo prestato il proprio servizio, con serietà e senza demerito, deve sapere che questo, quando sarà possibile, sarà premiato, anche indipendentemente dalla sua età anagrafica.
Deve sapere che nessun arrivista di talento, la citazione è di Hans Kelsen e non vuole essere in alcun modo riferita al caso della vita discusso ieri, lo potrà emarginare e questo non per rispetto nei suoi confronti ma nell’interesse della specie, perché molti si troveranno nella stessa condizione e ciascuno di loro deve sapere che non sarà pretermesso sulla base del proprio compleanno.
Tutte queste persone, che adesso sono giovani, che hanno appena iniziato il dottorato di ricerca o che si sono assegnisti di ricerca, devono sapere che se lavorano con serietà saranno premiati da una carriera gestita con spirito di gentiluomo perché solo in questo modo avranno la serenità necessaria di prestare il proprio servizio nell’esclusivo interesse della comunità degli studenti e di quella scientifica senza dover temere che una maggioranza assoluta incapace di poter giudicare il lavoro di tutta una vita gli preferisca qualcuno il cui merito non è stato di lavorare quanto loro hanno lavorato.
Perché se ciascuno di noi dovrebbe sentire come una maledizione il terribile compito di giudicare nella mezz’ora di un esame la preparazione dei suoi studenti, di quegli studenti che hanno passato gli ultimi mesi a studiare i suoi appunti e i libri che ha scelto come testi, questo compito diventa ancora più tremendo quando si deve valutare oltre vent’anni di produzione scientifica.
Ma questo lo capiscono meglio i vecchi e ieri non era proprio un Consiglio per vecchi.