Guccini: grottesche stanze quotidiane
Guccini assomiglia ad una cucina in formica che e’ stata piastrellata Casabella negli anni ottanta e ristrutturata minimal nel duemilaotto.
Senza toccare le finestre, che danno quella luce tenera e sconcia, o la porta che e’ rimasta difettosa, come sempre.
Guccini e’ un concerto di tanti anni fa: tre idioti ed una ragazza che pensano di diventare adulti con una notte a Pisa. Lo stesso tono grottesco e greve, invecchiato senza accorgersene al motto del Io ce la faccio ancora: a bere il vino a boccia, a tirar mattino, a sparar cazzate, a stonare canzoni e intonare poesie.
Ha una vitalita’ selvaggia. Triste. Incoativa.
No. Non ce la faccio piu’ a preoccupparmi di sogni matti o di avventure folli. Non bevo il vino a boccia. Non tiro il mattino. Non sparo cazzate, ma solo calci nel sedere.
Eppure provo una struggente nostalgia per quando quelle canzoni mi aprivano il cuore e mi sembravano dilatare lo spazio verso una comprensione nuova. Quando la fine di un amore era una eternita’ che si perdeva per sempre, dopo un numero esatto di giorni: 5 mesi e 25.
E lo incollo nei 160 giga del mio ipod.
Solo per ritrovare il sapore metallico del primo vino, che forse mi manca molto piu’ dei primi – ed assurdamente, perigliosamente, inutilmente eterni – baci.