Suicidio per cause naturali
Era nata o nato in un corpo che non era il suo.
Aveva imparato a nasconderlo e forse lo aveva anche cambiato un po’.
Camminava, spesso, in quelle ore in cui non ci si incontra. Quelle ore che nascondono le rughe e nelle quali è più facile lasciarsi amare da chi non conosce l’amore.
Viaggiava con gambe muscolose. Fasciate in fuseaux neri che la facevano somigliare a un ciclista più che a una donna.
Solo una volta l’ho sentita parlare. Ha preso fra le sue le mani di una donna di servizio. Una ragazza, rumena, poco più di venti anni. Meno di trenta all’anagrafe. Molti di più allo specchio, ma quello non importa.
Ha detto che erano belle ma le unghie erano rovinate e le ha chiesto di passare perché voleva sistemarle. Ha voluto specificare che non le avrebbe chiesto nulla.
Ho visto il sorriso di quella ragazza. Sfiorata da un’attenzione piena di dolcezza. Un sorriso di chi non spera più di trovare parole dedicate a lei.
Adesso, è morta. Come si muore in un appartamento. Sola e di solitudine. Suicidio per cause naturali, anche se il medico legale scrive diversamente.
Ma a me piace ricordarla mentre camminava. Fuori luogo, nelle ore più calde o in quelle più fredde. Mi piace pensare che sia stata ingoiata dalla strada, da questa strada che osservo ogni giorno dall’alto e che mi somiglia a un mare.
Un mare senza pietà che sa inghiottire i suoi naufraghi e non dona nessuna allegria a chi sopravvivendo riprende il viaggio.
Resta la sua casa con le finestre chiuse come palpebre sotto il sudario.