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Lo stupro di Firenze e le verità di due carabinieri infedeli per una notte

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
14/09/2017

Le verità dei carabinieri sono spesso inquietanti.

I carabinieri rassicurano ma la loro presenza spaventa e non sono stati pochi i marescialli dell’Arma che hanno subito processi più o meno inquietanti, fra Firenze e il suo contado.

Lo stupro di Firenze, in realtà e purtroppo, poteva accadere solo a Firenze e, forse, questo aspetto non è al centro delle pagine dei giornali che si occupano di una verità ambigua: il capopattuglia che non si accorge dell’ubriachezza al limite del coma etilico delle due ragazze o il suo compagno che dice di avere fatto solo quello che gli veniva ordinato.

Lo stupro di Firenze è accaduto a Firenze perché a Firenze si sono concentrati migliaia di ragazzi americani che non vengono per studiare, ma anche per divertirsi e si divertono bevendo fino a perdere qualsiasi controllo (e limite) per il semplice fatto che non sanno bere e non hanno mai bevuto quando erano con le loro famiglie.

E’ la tragica conseguenza sia di un comportamento che, allo stato delle notizie di cronaca, appare ingiustificabile sia di due culture che faticano ad assimilarsi e anche a convivere.

Il pronto soccorso di Santa Maria Nuova – nel centro di Firenze – trabocca di studenti americani ubriachi a un livello inaccettabile per la nostra cultura e questo accade ogni notte.

Trecentosessantacinque notti all’anno.

La presenza delle università straniere a Firenze dovrebbe essere una occasione straordinaria per lo sviluppo culturale della città.

Ma non è sempre così. Spesso questi studenti sono semplicemente degli strumenti che producono reddito per i gestori delle discoteche e degli altri locali notturni in cui passano le loro notti etiliche.

Lo stupro di Firenze merita di essere severamente punito e i suoi colpevoli ne risponderanno dinanzi all’Autorità giurisdizionale.

Un episodio sostanzialmente isolato

Il montante di vomito alcolico che le notti fiorentine lasciano al servizio municipale di spazzamento delle strade invece è la realtà di tutte le mattine nel centro storico e anche questo merita un severo intervento, magari applicando quelle misure di prevenzione e sicurezza che erano tante care ai carabinieri di Pinocchio e all’Italia Umbertina.

Il primo è un male criminale e come tale deve essere trattato.

Il secondo è un male politico e come tale, purtroppo, non è trattato.

Il ministro, gli smartphone e Picasso

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/09/2017

La polemica di questa mattina riguarda l’annuncio del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca scientifica di considerare utili gli smartphone in classe.

Il solito esperto da Radio Tre si è detto sicuro che l’uso dello smartphone sia dannoso, perché scrivere su un palmare obbligherebbe il pensiero a un percorso puntiforme, il percorso delle dita sulla tastiera, abbandonando la dimensione fluida della calligrafia.

Forse non è esattamente così. E’ genericamente così.

C’è una grande differenza fra scrivere analogicamente e scrivere digitalmente.

Ogni strumento che si sceglie per scrivere consente al pensiero di seguire percorsi diversi e molto spesso chi è abituato a scrivere ha i suoi personali vezzi.

Si può pensare alla macchina da scrivere di Arthur Miller, alle matite Fila modello Tirone e perfettamente appuntate con cui scriveva Alberto Predieri, alle stilografiche di Chatwin e ai suoi taccuini.

Ciascuno ha un modo di scrivere e sviluppa il suo pensiero adattandolo anche a ciò che usa per scrivere.

La vera riflessione, la riflessione che, forse, sarebbe piaciuta a Steve Jobs, è l’importanza di educare alla consapevolezza dei diversi strumenti che si utilizzano e alla comprensione delle potenzialità che hanno.

Negare l’ingresso degli smartphone in classe significa non essere consapevoli che pensare “word” è molto diverso da pensare “gdoc”. Word, in fondo, è una macchina da scrivere che funziona molto bene ma che non è diversa da una Lettera 22 evoluta. Google doc permette di condividere ciò che si scrive mentre lo si scrive e questo è un modo di pensare scrivendo. Come ancora è diverso riflettere su un keynote o sviluppare una presentazione con Prezi, che si potrebbe prestare anche a un romanzo.

Hackpad, che adesso si chiama Paper e che viene sviluppato da Dropbox, è ancora un modo diverso di scrivere e di pensare a partire dal codice e come si può fare solo con uno smartphone.

Nessuno di questi strumenti è simile all’altro.

Non lo sono gli strumenti analogici, non lo sono quelli digitali. Sono diversi fra di loro e permettono cose diverse, un po’ come il corsivo francese e quello inglese, il gotico e il cancelleresco, per restare in ambito calligrafico.

Per questo il dibattito intorno alla proposta – dichiarazione del ministro dell’Istruzione è fuorviante rispetto al vero nodo della questione.

Educare ad esprimere il proprio pensiero è anche educare alla consapevolezza dei diversi strumenti che si possono usare per esprimere il proprio pensiero e a quali sfumature del proprio pensiero ciascuno di questi strumenti è più adatto a raccontare.

Picasso lo insegnava ai suoi allievi.

Prima di ogni altra cosa, si deve trovare la materia su cui dipingere, perché c’è chi ha bisogno della carta, chi degli affreschi, chi delle tele, chi semplicemente di pannelli di legno.

E Picasso era uno che si intendeva anche di calligrafia: quando doveva pagare qualcosa aggiungeva sempre un piccolo disegno alla sua firma sull’assegno in modo da essere sicuro che non sarebbe stato incassato…

Parole e significati: esistono i sinonimi divergenti?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
12/09/2017

Poema ferroviario

In Mosca – Petuski, Erofeev spiega che vi sono più di cinquanta sinonimi divergenti in russo per definire l’ubriachezza.

Più di cinquanta modi di essere ubriachi, a ciascuno dei quali corrisponde una esatta parola.

Lo stesso vale per Neve, in finlandese, secondo il Wagner di Luna di ghiaccio e per la parola Pietra in croato, secondo Radio 3.

Queste parole fissano un concetto talmente essenziale per quella cultura da riflettersi in diverse sfumature che a loro volta diventano concetti e perciò lemmi.

Non sono propriamente sinonimi, parole che hanno lo stesso significato di altre parole di cui possono prendere il posto per evitare ripetizioni, ma sinonimi divergenti: parole che ricordano uno stesso significato di altre parole e lo individuano con una diversa sfumatura.

Il contrario delle parole che possono avere più significati diversi e che affaticano i vocabolari di latino e greco del ginnasio, quando la fatica del tradurre era cercare di individuare un significato all’interno di un contesto in cui tutto poteva voler dire altro ed era semplice perdersi.

Mi sono interrogato a lungo sulla parola che può avere un così grande numero di sinonimi in italiano: la mia ignoranza mi ha impedito di svolgere la stessa indagine in lingue diverse.

In effetti, l’idea di ubriachezza identifica la cultura russa, come l’idea di amore è centrale nella Grecia classica, la neve individua una parte dell’anima del nord finlandese e la schiavitù della pietra è caratteristica del ruolo della Croazia nell’economia Ottomana.

Dopo tre o quattro notti insonni, sono arrivato alla conclusione che l’unica parola italiana con un così elevato numero di sinonimi divergenti si trovi esattamente al centro delle donne.

Il che dice molto della nostra cultura e, forse, anche di un Parlamento che invece di parlare di riforme elettorali si perde nelle discussioni sui vitalizi dei suoi membri, scambiando la Luna con il dito ma senza perdere il vero senso delle dita per il nostro vocabolario.

Empatie di avvocati (La proprietà si prescrive?)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
07/09/2017

Gli avvocati sono animali strani.

Più simili a un mostro di livello intermedio di Munchkin che non a servitori della giustizia.

Ci sono avvocati che studiano seriamente il diritto.

Altri che sono affascinati dal fatto e che ne sanno leggere ogni piega.

Soprattutto però ci sono avvocati che non capiscono nulla, che dicono che la proprietà si prescrive e non si vergognano di urlarlo.

Non capiscono nulla di diritto, perché studiare costa fatica e non è per tutti.

Del fatto, perché non c’è niente di divertente negli affari degli altri se gli affari degli altri sono il tuo mestiere.

La differenza fra i due generi si intuisce abbastanza facilmente.

Da come scrivono, da come parlano, da come si muovono.

Persino da come si comportano, gli uni con gli altri, mentre aspettano di combattersi, perché chi litiga per mestiere è più una bestia che un essere umano.

Un uomo di buon senso potrebbe pensare che per vincere in una controversia si debba essere dei buoni avvocati, ferrati in diritto e capaci di analizzare il fatto interpretandolo come un fenomeno giuridico.

Che chi ha studiato poco e non ha mai letto fino in fondo un documento sia destinato al fallimento.

Niente di più falso e di più umiliante.

La verità è che vincono i cialtroni.

Non perché la verità è il sorteggio del Pretore di Monsummano di cui parlava Calamandrei. Erano altri tempi e altre stoffe d’uomo.

Nè perché i giudici sono dei cani che premiano chi è cane come è loro. I giudici hanno vinto un concorso più difficile di quello per diventare avvocati e sanno quasi sempre quello che fanno.

Perché i palazzi, anche quelli di giustizia, hanno un’anima e vince chi è riuscito a impregnarsi di quest’anima, a farla propria.

Gli avvocati bravi sono troppo orgogliosi della propria tecnica per soffermarsi a dialogare con l’anima della giustizia.

I cialtroni, invece, hanno l’umiltà di farlo.

L’umiltà, non la bravura, né l’intelligenza, vince le cause e l’umiltà che vince, talvolta, è davvero umiliante.

Caino (Riflessioni sul principio di precauzione)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
06/09/2017

Nel suo caso pensare che gli altri si comportino come si comporterebbe lui, nelle stesse circostanze, è esercizio del principio di precauzione.

Quando le conseguenze di un evento altamente improbabile possono essere catastrofiche, non ci sono ragioni per non adottare tutti gli accorgimenti necessari per ridurre il rischio al livello minimo consentito dalla tecnologia.

Forse è diventato così perché la sua vita è una catastrofe. Ma non riesco a provare compassione, empatia o pietà: ascoltarlo è piacevole come andare dal dentista.

Penso solo che per fortuna, la provvidenza gli ha donato tempi di riflessione astronomici. Come la distanza che lo separa dal genere umano.

Se dopo il Libeccio arriva la Tramontana,

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
05/09/2017

Se dopo il Libeccio viene la Tramontana, l’estate finisce.

Quando dopo il vento d’Africa, il vento dei sogni e della follia, arriva una brezza fredda e tagliente, torna la pace sul mare e le onde vengono soffocate come steppa che annega sotto la neve.

Una pace australe.

Fino al giorno prima, il Libeccio avrebbe partorito un Maestrale capace di trasformare i suoi sogni e le sue violente follie d’Africa in lessico mediterraneo.

Lo penso mentre cerco di afferrarlo con le dita perché so che sono arrivato tardi e che dopo sarà Tramontana.

Ma il vento è fatto di spiriti danzanti. Sanno quando è arrivato il momento di fuggire, di lasciare la terra dei nostri sogni alle schiene dei dannati che coltivano i campi sotto la neve.

La folla degli esami di riparazione

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/09/2017

All’inizio dell’anno scolastico ci sono gli esami di riparazione.

L’inizio dell’anno scolastico è la folla degli studenti che aspetta di entrare a scuola per l’esame di riparazione.

A scuola, si può essere rimandati a settembre.

C’è una seconda possibilità.

C’è la possibilità di scambiare l’estate per quello che non si è fatto durante l’inverno.

Non sono mai stato rimandato a settembre, a scuola.

Spesso, invece, nella vita.

Dove però gli esami di riparazione non sempre riescono bene.

Ci vuole il coraggio dell’ostinazione e l’umiltà della tenacia per superare un esame di riparazione.

Lo penso mentre guardo la folla degli esami di riparazione e pedalo verso una giornata che anche per me assomiglia a un esame di settembre, senza sapere se, questa volta, sarò in grado di superarlo o se sarò bocciato.

Fiori di menta

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
02/08/2017

La menta ha fiori piccoli e delicati.
Amati dalle api. 
Hanno il profumo ronzante che riposa nelle borse delle vecchie signore. 
Sono belli  osservati con gli occhi delle api
Le api sanno che i fiori della menta sono il suo ultimo dono prima di seccare e seccando morire. 
Come muoiono le piante: bevendo senza dissetarsi. 
Lo sanno e nella dolcezza di questa morte trovano la seduzione del miele che sarà. 

Mi guardo i piedi e tengo le mani in tasca

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/06/2017

Mi guardo i piedi e tengo le mani in tasca.

Anche oggi che è l’ultimo giorno di scuola di bimba piccola, che era bimba piccola quando aveva tre anni e adesso ha finito le elementari: sa scrivere e far di conto, quasi come un avvocato.

Mi guardo i piedi e tengo le mani in tasca, perché ho il cuore pieno delle sue lacrime mentre saluta le maestre.

Ma soprattutto perché so che se lei è come me e lei è parecchio come me non bastano quelle lacrime per tornare indietro.

 

Non basta il cuore pieno di nostalgia per fermarsi, perché domani è davvero un altro giorno e domani saremo dove oggi non siamo mai stati.

Anche se fossimo ancora qui.

Chi li ha sciolti? (Crucci Katia o Catia, comunque Hatia)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/05/2017
Dal concessionario in attesa del tagliando. 
Buongiorno. Sono Crucci Katia. Sono la prima e devo essere servita….
Nessun problema, Signora. Dica 
Questo il solerte tipo dell’accettazione (il Solerte). Per parte mia, faccio finta di nulla come se fossi davvero l’ultimo. È talmente sudata nel suo abitino beige di cellulite e bigodini che non essere cavaliere sarebbe masochismo: se si alza, si rimette le scarpe e i suoi piedi fanno recere.
Ascolto fuori dall’acquario, in cui il Solerte riceve i clienti. Con quest’aria di clinica privata che fa un po’ Sassaroli e un po’ Fanfani Analytics.
Senta giovane. Ho comprato questa macchina. Bellissima. L’ho aspettata due secoli e l’ho pagata mill’anni. Ma lo sa che ai semafori si spegne? E gli pare una città seria?
Il Solerte fa gli occhi da Padre Pio e spiega lo start and go come se fosse la più grande novità della meccanica e anche lui lo avesse appena scoperto. 
Ma non è santo abbastanza e soprattutto non è per niente beato sicché lei capisce di avere fatto la figura della carampana. Capisce di essere una carampana e sorridendo più triste di un fado si alza e va a riprendere la macchina in officina. 
La guardo. Senza sorridere. Come si fissa un punto in controluce sul viale del tramonto. 
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