Questo mercoledì delle ceneri è un piccione morto per strada
Caduto, senza un movimento, come un sasso
Le ali racchiuse e le zampe rattrappite
Bestia senza vita, cosa senza pretesa d’anima
Bello morire così
Precipitati dall’ignoranza di vivere nell’indifferenza dell’asfalto.
Oggi, c’è aria di Pasqua nelle campane
La primavera si ricorda dell’inverno nella rugiada fredda come brina
Il Sole sa di nebbie
E io ricordo il profumo della giacca di camoscio di mio padre
Tanti anni fa
Vorrei sentirlo adesso quel profumo, un profumo che si sente solo avvicinandosi con labbra di bambino a una barba appena fatta.
Dimentico il dolore delle promesse sussurrate nella polvere di notte con passi di cieco
Parole leggere nella luce di fuochi fatui spezzano orribili silenzi scampati a verità consumate dal fumo e dal Martini
Un tacere ingannevole per un cretino che non voleva arrendersi alla grottesca cronaca dell’eterno ritorno
Ora non posso. Non puoi. Hai potuto
Niente è più leggero del male degli altri se è il prezzo della selvaggia gioia con cui si è deciso di sopravvivere in una vita di cartapesta senza annegare nel buio di una piscina
Troppe volte ho voluto dimenticare che le mie parole non valevano la memoria di chi riposava ascoltandole e, ora, ora che c’è un sole nebbioso, è il tempo giusto per morire a chi ha saputo imparare tutto ciò che l’amore non vale dal presente di chiodi per farfalle in cui si è trafitta.