Un sogno sul ponte
I ponti appartengono al Diavolo. E’ il Diavolo che li costruisce. Chiede l’anima in cambio o il sacrificio di una vergine.
Il Diavolo unisce luoghi distanti e irraggiungibili, il viaggio è un luogo perfetto per perdere la propria anima.
Eppure senza ponti, i cuori restano distanti e non esiste solitudine più profonda delle otto miglia che separavano le pievi del Medioevo.
Profonda, gretta ed egoista.
I ponti sono necessari per liberarsi dalla schiavitù e il Diavolo aspetta gli schiavi che vogliono fuggire.
Gli offre la libertà più facile: scendere con il loro collare nel più profondo dei pilastri e restare lì, inchiodati a ciò che gli impedisce di essere liberi.
Il mio sogno è uno schiavo che in mezzo al ponte ha il coraggio di sfilarsi da solo il collare e gettarlo nel fiume.
Essere finalmente libero.
Ma so che non è facile perché, in fondo, ogni schiavo possiede il proprio padrone con tutto ciò che il suo padrone non potrebbe fare senza di lui e ne è felice.
E’ felice dell’intelligenza che si fa collare, del vizio che lo carezza, come un cane nelle mani che morirebbe se non trovasse e per il quale la peggior punizione è l’assenza di chi lo ha saputo addomesticare.
L’arte di addomesticare non è di tutti. E’ un’arte egoista. Un’arte che pensa di meritare l’incondizionata adorazione di un’intelligenza animale. Pochi sanno addomesticare un cane fino a farlo tornare randagio, anche se quella era la sua natura.