Il nano malefico
Non e’ possibile non ricordarlo.
I suoi esami erano oscuramente imprevedibili e si interrompevano all’ora dell’aperitivo che lo trascinava via con il suo codazzo – molto romano – di seguaci, postulanti ed idioti vari.
Il suo corso consisteva di sessanta ore di didattica frontale sul valore dei diritti immateriali, che spiegava in un oscuro dialetto calabrese con qualche sprazzo di tedesco che faceva piu’ migrante che begriffjurisprudenz.
Aveva quell’altezza in cui il cuore non si stacca dal culo piu’ di venti centimetri e le merit che fumava sembravano avana.
Si diceva che avesse violentato una studentessa. Non e’ certo. So solo che una tipa diceva di esserci stata e di aver preso un secco 18, non per la preparazione ma per la prestazione.
Non ci ho mai creduto.
Lo ricordo – pero’ – far lezione, in cima ad una pedana imponente. Nano, ciononostante. Ma ginocchioni sui braccioli pareva meno piccino. Ricordo anche che una volta la sedia girevole si volto’ improvvisamente donando a noi che eravamo a non capire nulla una enorme risata liberatoria.
Nemmeno dimentico il 23 con cui liquido’ la mia preparazione spinto da un aperitivo a non perdere troppo tempo dietro ai miei brufoli.
Un insolito concorso me lo ha trascinato innanzi oggi.
Ho salutato con cortesia l’anziano collega e sono rimasto a prendermi la battuta: Vedo che ha fatto carriera. Come dire, in altri settori e’ piu’ facile. Con me non avrebbe fatto nulla di buono.
E siccome ho una voce roca e potente, non ho saputo rinunciare a sovrappormi e narrare: Che piacere trovarla, che piacere ricordare le sue lezioni. Ricorda? [Ricordi, nano gongolante?] Ricorda il giorno in cui cadde dalla cattedra? [Arrossisci, nanetto buffo] Come seppe mantenere la disciplina. Davvero altri tempi, altre tempre….
E sono andato via.
Senza sentirmi orgoglioso.
E’ un vecchio. Spelato ed isterico. Solo un vecchio.